Principi del Leninismo, parte 2
VI
LA QUESTIONE NAZIONALE
Di questo tema tratterò due questioni principali:
a) l'impostazione del problema,
b)il movimento di liberazione dei popoli oppressi e la rivoluzione proletaria.

1) Impostazione del problema. Nel corso degli ultimi due decenni, la questione nazionale ha subito una serie di modificazioni della più grande importanza. La questione nazionale nel periodo della II Internazionale e la questione nazionale nel periodo del leninismo sono ben lontane dall'essere la stessa cosa. Esse differiscono profondamente l'una dall'altra, non solo per l'ampiezza, ma anche per il loro carattere intrinseco.
Prima, la questione nazionale si riduceva di solito a un gruppo ristretto di problemi che riguardavano, per lo più, le nazioni «civili». Irlandesi, ungheresi, polacchi, finlandesi, serbi e alcune altre nazionalità dell'Europa: questo era il gruppo di popoli, privati dell'eguaglianza di diritti, delle cui sorti s'interessavano gli eroi della II Internazionale. Decine e centinaia di milioni di uomini appartenenti ai popoli dell'Asia e dell'Africa, che subivano il giogo nazionale nelle sue forme più brutali e più feroci, di solito non venivano presi in considerazione. Non ci si decideva a mettere sullo stesso piano bianchi e negri, «civili» e «non civili». Due o tre risoluzioni agrodolci e vuote, che si sforzavano con cura di eludere il problema della liberazione delle colonie, ecco tutto quello di cui potevano vantarsi gli uomini della II Internazionale. Oggi, questa doppiezza e queste mezze misure, nella questione nazionale, si debbono considerare come liquidate. Il leninismo ha smascherato questa disparità scandalosa: ha abbattuto la barriera che separava bianchi e negri, europei e asiatici, schiavi dell'imperialismo «civili» e «non civili», collegando, in questo modo, il problema nazionale al problema delle colonie. Così la questione nazionale si é trasformata, da questione particolare interna di uno Stato singolo, in questione generale e internazionale, é diventata il problema mondiale della liberazione dal giogo dell'imperialismo dei popoli oppressi dei paesi dipendenti e delle colonie.

Prima, il principio dell'autodecisione delle nazioni di solito veniva interpretato in modo erroneo, venendo ridotto non di rado al diritto delle nazioni all'autonomia. Alcuni capi della II Internazionale erano persino giunti a trasformare il diritto all'autodecisione nel diritto all'autonomia culturale, cioè nel diritto delle nazioni oppresse di avere le loro proprie istituzioni culturali, lasciando tutto il potere politico nelle mani della nazione dominante. Questo fatto aveva come conseguenza che l'idea dell'autodecisione correva il rischio di cambiarsi da strumento di lotta contro le annessioni in un mezzo per giustificare le annessioni. Oggi, questa confusione si deve considerare come superata. Il leninismo ha ampliato il concetto dell'autodecisione, interpretandolo come diritto dei popoli oppressi dei paesi dipendenti e delle colonie alla separazione completa, diritto delle nazioni a esistere come Stato indipendente. In questo modo é stata esclusa la possibilità di giustificare le annessioni interpretando il diritto all'autodecisione come diritto all'autonomia. Quanto al principio dell'autodecisione, esso é stato trasformato, in questo modo, da strumento per ingannare le masse quale fu senza dubbio nelle mani dei social-sciovinisti durante la guerra imperialista mondiale, in strumento per smascherare tutte le bramosie imperialistiche e le macchinazioni sciovinistiche di ogni genere, in uno strumento di educazione politica delle masse nello spirito dell'internazionalismo.

Prima, il problema delle nazioni oppresse veniva considerato, di solito, come un problema puramente giuridico. Proclamazione solenne dell'«eguaglianza nazionale», dichiarazioni innumerevoli sull'«eguaglianza delle nazioni»: ecco di che cosa si accontentavano i partiti della II Internazionale, mentre tenevano nascosto il fatto che, sotto l'imperialismo, quando un gruppo di nazioni (la minoranza) vive dello sfruttamento di un altro gruppo di nazioni, l'«eguaglianza delle nazioni» non é che una presa in giro dei popoli oppressi. Oggi questa concezione giuridico-borghese della questione nazionale si deve considerare come smascherata. Dalle altezze delle dichiarazioni pompose il leninismo ha fatto scendere la questione nazionale sulla terra, affermando che le dichiarazioni sull'«eguaglianza delle nazioni», non corroborate con l'appoggio diretto da parte dei partiti proletari della lotta di liberazione dei popoli oppressi, sono soltanto delle dichiarazioni
vuote e menzognere. In questo modo il problema delle nazioni oppresse é diventato il problema dell'appoggio, dell'aiuto effettivo e continuo alle nazioni oppresse nella loro lotta contro l'imperialismo, per l'eguaglianza reale delle nazioni, per la loro esistenza come Stato indipendente.

Prima, la questione nazionale veniva considerata, in modo riformista, come una questione a sé stante, indipendente, senza rapporto con la questione generale del potere del capitale, dell'abbattimento dell'imperialismo, della rivoluzione proletaria. Si ammetteva tacitamente che la vittoria del proletariato in Europa fosse possibile senza un'alleanza diretta con il movimento di liberazione nelle colonie, che la questione nazionale e coloniale potesse venir risolta in sordina, «automaticamente», all'infuori della grande via della rivoluzione proletaria, senza una lotta rivoluzionaria contro l'imperialismo. Oggi questo punto di vista controrivoluzionario si deve considerare come smascherato. Il leninismo ha provato, e la guerra imperialista e la rivoluzione in Russia hanno confermato, che la questione nazionale può essere risolta soltanto in legame con la rivoluzione proletaria e sul suo terreno, che la via della vittoria della rivoluzione in Occidente passa attraverso l'alleanza rivoluzionaria col movimento antimperialistico di liberazione delle colonie e dei paesi dipendenti. La questione nazionale é parte della questione generale della rivoluzione proletaria, parte della questione della dittatura del proletariato.

Il problema si pone così: sono già esaurite, oppure no, le possibilità rivoluzionarie esistenti in seno al movimento rivoluzionario di liberazione dei paesi oppressi, e se non sono esaurite, esiste una speranza, una ragione di utilizzare queste possibilità per la rivoluzione proletaria, di fare dei paesi dipendenti e coloniali non più una riserva della borghesia imperialista, ma una riserva del proletariato rivoluzionario, un suo alleato?
Il leninismo risponde a questa domanda affermativamente, cioè nel senso di riconoscere l'esistenza di capacità rivoluzionarie in seno al movimento di liberazione nazionale dei paesi oppressi e nel senso di ritenere possibile utilizzarle nell'interesse del rovesciamento del nemico comune, l'imperialismo. Il meccanismo di sviluppo dell'imperialismo, la guerra imperialista e la rivoluzione in Russia confermano pienamente le conclusioni del leninismo a questo proposito.
Di qui la necessità dell'appoggio, dell'appoggio deciso e attivo, da parte del proletariato, al movimento di liberazione nazionale dei popoli oppressi e dipendenti.
Ciò non vuol dire, naturalmente, che il proletariato debba appoggiare qualsiasi movimento nazionale, sempre e dappertutto, in tutti i singoli casi concreti. Si tratta di appoggiare quei movimenti nazionali che tendono a indebolire, ad abbattere l'imperialismo e non a consolidarlo e a conservarlo. Vi sono dei casi in cui i movimenti nazionali di singoli paesi oppressi cozzano con gli interessi dello sviluppo del movimento proletario. Si capisce che in questi casi non si può parlare di appoggio. La questione dei diritti delle nazioni non é una questione isolata e a sé stante, ma é una parte della questione generale della rivoluzione proletaria, é una parte subordinata al tutto ed esige di essere considerata da un punto di vista d'assieme.

Marx, tra il 1840 e il 1850, era favorevole al movimento nazionale dei polacchi e degli ungheresi, e contrario al movimento nazionale dei cechi e degli slavi del sud. Perché? Perché i cechi e gli slavi del sud erano allora «popoli reazionari», «avamposti russi» in Europa, avamposti dell'assolutismo, mentre polacchi e ungheresi erano «popoli rivoluzionari» in lotta contro l'assolutismo. Perché l'appoggio del movimento nazionale dei cechi e degli slavi del sud avrebbe significato allora appoggio indiretto dello zarismo, il più pericoloso nemico del movimento rivoluzionario in Europa.
" Le singole rivendicazioni della democrazia, - dice Lenin, - compresa l'auto
decisione, non sono un assoluto, ma una particella dell'assieme del movimento democratico (e oggi: dell'assieme del movimento socialista) mondiale. È possibile che in singoli casi determinati la particella sia in contraddizione col tutto, e allora bisogna respingerla" («Bilancio della discussione sull'autodecisione», Vol. XlX, pp. 257-258 ed. russa).

Così si presenta la questione dei movimenti nazionali singoli e dell'eventuale carattere reazionario di questi movimenti, se, naturalmente, non si considerano questi movimenti da un punto di vista formale, dal punto di vista dei diritti astratti, ma concretamente, dai punto di vista degl'interessi del movimento rivoluzionario.
Lo stesso si deve dire circa il carattere rivoluzionario dei movimenti nazionali in generale. Il carattere incontestabilmente rivoluzionario dell'immensa maggioranza dei movimenti nazionali é altrettanto relativo e originale, quanto é relativo e originale l'eventuale carattere reazionario di alcuni movimenti nazionali singoli. Nelle condizioni dell'oppressione imperialistica, il carattere rivoluzionario del movimento nazionale non implica affatto obbligatoriamente l'esistenza di elementi proletari nel movimento, l'esistenza di un programma rivoluzionario o repubblicano del movimento, l'esistenza di una base democratica del movimento. La lotta dell'emiro afghano per l'indipendenza dell'Afghanistan é oggettivamente una lotta rivoluzionaria, malgrado il carattere monarchico delle concezioni dell'emiro e dei suoi seguaci, poiché essa indebolisce, disgrega, scalza l'imperialismo, mentre la lotta di certi «ultra» democratici e «socialisti» «rivoluzionari» e repubblicani dello stampo, ad esempio, di Kerenski e Tsereteli, Renaudel e Scheidemann, Cernov e Dan, Henderson e Clynes durante la guerra imperialista, era una lotta reazionaria, perché aveva come risultato di abbellire artificialmente, di consolidare, di far trionfare l'imperialismo.
La lotta dei mercanti e degli intellettuali borghesi egiziani per l'indipendenza dell'Egitto é, per le stesse ragioni, una lotta oggettivamente rivoluzionaria, quantunque i capi del movimento nazionale egiziano siano borghesi per origine e appartenenza social e quantunque essi siano contro il socialismo, mentre la lotta del governo operaio inglese per mantenere la situazione di dipendenza dell'Egitto é, per le stesse ragioni, una lotta reazionaria, quantunque i membri di questo governo siano proletari per origine e appartenenza sociale e quantunque essi siano «per» il socialismo. E non parlo del movimento nazionale degli altri paesi coloniali e dipendenti, più grandi, come l'India e la Cina, ogni passo dei quali sulla via della loro liberazione, anche se contravviene alle esigenze della democrazia formale, é un colpo di maglio assestato all'imperialismo, ed é perciò incontestabilmente un passo rivoluzionario.
Lenin ha ragione quando afferma che il movimento nazionale dei paesi oppressi si deve considerare non dal punto di vista della democrazia formale, ma dal punto di vista dei risultati effettivi nel bilancio generale della lotta contro l'imperialismo, cioè «non isolatamente, ma su scala mondiale» (lb. p. 257).

2) Il movimento di liberazione dei popoli oppressi e la rivoluzione proletaria. Nel risolvere la questione nazionale, il leninismo parte dalle tesi seguenti:
a) il mondo é diviso in due campi; da una parte un pugno di nazioni civili, che detengono il capitale finanziario e sfruttano l'enorme maggioranza della popolazione del globo; dall'altra i popoli oppressi e sfruttati delle colonie e dei paesi dipendenti, che costituiscono questa maggioranza;
b ) le colonie e i paesi dipendenti, oppressi e sfruttati dal capitale finanziario, costituiscono un'immensa riserva e la più cospicua sorgente di forze dell'imperialismo;
c) la lotta rivoluzionaria dei popoli oppressi dei paesi dipendenti e coloniali contro l'imperialismo é l'unica via della loro liberazione dall'oppressione e dallo sfruttamento;
d) i principali paesi coloniali e dipendenti si sono già messi sulla via del movimento di liberazione nazionale, il quale non può non condurre alla crisi del capitalismo mondiale;
e) gl'interessi del movimento proletario nei paesi avanzati e del movimento di liberazione nazionale nelle colonie esigono l'unione di questi due aspetti del movimento rivoluzionario in un fronte comune di lotta contro il nemico comune, contro l'imperialismo;
f) la vittoria della classe operaia nei paesi avanzati e la liberazione dei popoli oppressi dal giogo dell'imperialismo non sono possibili senza la formazione e il consolidamento di un fronte rivoluzionario comune;
g) la formazione di un fronte rivoluzionario comune non é possibile senza l'appoggio diretto e deciso, da parte del proletariato dei paesi oppressori, del movimento di liberazione dei popoli oppressi, contro il «patrio» imperialismo, perché «non può esser libero un popolo che opprime altri popoli» (Marx) ;
h) questo appoggio consiste nel difendere, sostenere, applicare la parola d'ordine del diritto delle nazioni alla separazione, all'esistenza come Stato indipendente;
i) senza l'applicazione di questa parola d'ordine é impossibile organizzare l'unione e la collaborazione delle nazioni in un'economia mondiale unica, base materiale della vittoria del socialismo;
l ) quest'unione non può essere che volontaria, non può sorgere che sulla base della fiducia reciproca e di reciproci rapporti fraterni fra i popoli.

Di qui due aspetti, due tendenze nella questione nazionale: la tendenza alla liberazione politica dai ceppi dell'imperialismo e alla creazione di Stati nazionali indipendenti, tendenza generata dall'oppressione imperialistica e dallo sfruttamento coloniale, e la tendenza all'avvicinamento economico delle nazioni, che sorge con la formazione di un mercato mondiale e di un'economia mondiale.
«Nel corso del suo sviluppo il capitalismo, - dice Lenin, - conosce nella questione nazionale due tendenze storiche. La prima consiste nel risveglio della vita nazionale e dei movimenti nazionali, nella lotta contro ogni oppressione nazionale, nella creazione di Stati nazionali. La seconda consiste nello sviluppo e nella moltiplicazione di ogni sorta di relazioni fra le nazioni, nella demolizione delle barriere nazionali, nella creazione dell'unità internazionale del capitale, della vita economica in generale, della politica, della scienza, ecc. Entrambe queste tendenze sono una legge universale del capitalismo. La prima prevale all'inizio dei suo sviluppo, la seconda caratterizza il capitalismo maturo, in marcia verso la sua trasformazione in società socialista" (Marx, Note critiche sulla questione nazionale», Vol. XVII, pp. 139-140 ed. russa).

Per l'imperialismo queste due tendenze rappresentano una contraddizione insuperabile, perché l'imperialismo non può vivere senza sfruttare e mantenere con la forza le colonie nel quadro di un «tutto unico», perché l'imperialismo può avvicinare le nazioni soltanto seguendo la via delle annessioni e delle conquiste coloniali, senza le quali, generalmente parlando, esso é inconcepibile.
Per il comunismo, invece, queste tendenze non sono che due aspetti di una causa unica, la causa dell'emancipazione dei popoli oppressi dal giogo dell'imperialismo, perché il comunismo sa che l'unione dei popoli in un'economia mondiale unica non é possibile che sulla base della fiducia reciproca e di un accordo liberamente consentito, che il processo di formazione di un'unione volontaria dei popoli passa attraverso la separazione delle colonie dal «tutto unico» imperialistico, attraverso la loro trasformazione in Stati indipendenti.
Di qui la necessità di una lotta tenace, incessante, decisa, contro lo sciovinismo da grande potenza che é proprio dei «socialisti» delle nazioni dominanti (Inghilterra, Francia, America, Italia, Giappone, ecc.), i quali non vogliono combattere contro i propri governi imperialisti, non vogliono appoggiare la lotta che i popoli oppressi delle «loro» colonie conducono per liberarsi dall'oppressione e costituirsi in Stati indipendenti.
Senza questa lotta non è concepibile educare la classe operaia delle nazioni dominanti nello spirito di un reale internazionalismo, nello spirito di un avvicinamento alle masse lavoratrici dei paesi dipendenti e delle colonie, nello spirito di una preparazione reale della rivoluzione proletaria. La rivoluzione in Russia non avrebbe vinto, e Kolciak e Denikin non sarebbero stati battuti, se il proletariato russo non avesse goduto della simpatia e dell'appoggio dei popoli oppressi dell'ex impero russo. Ma per conquistare la simpatia e l'appoggio di questi popoli, esso dovette, prima di tutto, spezzare le catene dell'imperialismo russo e liberare questi popoli dall'oppressione nazionale, senza di che sarebbe stato impossibile consolidare il potere sovietico, dar vita a un vero internazionalismo, creare quella mirabile organizzazione di collaborazione dei popoli che si chiama Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e che é il prototipo vivente della futura unione dei popoli in una economia mondiale unica.

Di qui la necessità della lotta contro l'isolamento, la grettezza, il particolarismo nazionale dei socialisti dei paesi oppressi, che non vogliono vedere più in là del loro campanile nazionale e non comprendono il legame che unisce il movimento di emancipazione del loro paese al movimento proletario dei paesi dominanti.
Senza questa lotta non si può difendere la politica indipendente dei proletariato delle nazioni oppresse, non si può difendere la sua solidarietà di classe col proletariato dei paesi dominanti nella lotta per abbattere il nemico comune, per abbattere l'imperialismo; senza questa lotta non sarebbe possibile l'internazionalismo.
Questa é la via che si deve seguire per educare le masse lavoratrici delle nazioni dominanti e delle nazioni oppresse nello spirito dell'internazionalismo rivoluzionario.
Ecco ciò che dice Lenin a proposito di questo duplice aspetto del lavoro dei comunisti per educare gli operai nello spirito dell'internazionalismo:

«Può questa educazione ... essere concretamente la stessa per le grandi nazioni che ne opprimono altre e per le nazioni piccole e oppresse? per le nazioni che ne annettono altre e per le nazioni annesse?
Evidentemente, no. La marcia verso un fine unico: verso l'eguaglianza completa, l'avvicinamento più stretto e l'ulteriore fusione di tutte le nazioni, procede qui, evidentemente, per differenti vie concrete, allo stesso modo, per esempio, che il tragitto per arrivare a un punto situato al centro di una pagina va verso sinistra se si parte da uno dei margini e verso destra se si parte dal margine opposto. Se il socialista di una grande nazione che ne opprime e ne annette delle altre, predicando la fusione delle nazioni in generale, dimenticherà anche solo per un istante che il "suo" Nicola II, il "suo" Guglielmo, Giorgio, Poincaré e compagnia sono essi pure per la fusione con le piccole nazioni (mediante l'annessione), - che Nicola II è per la "fusione" con la Galizia, Guglielmo II per la "fusione" col Belgio, ecc., -- un tal socialista finirà per essere, in teoria, un dottrinario ridicolo e, in pratica, un manutengolo dell'imperialismo.

Il centro di gravità dell'educazione internazionalista degli operai nei paesi oppressori deve risiedere immancabilmente nella propaganda e nella difesa da parte loro della libertà dei paesi oppressi di separarsi. Senza questo non v'è internazionalismo. Noi abbiamo il diritto e l'obbligo di trattare da imperialista e da furfante ogni socialista di un paese oppressore che non faccia questa propaganda. Si tratta di una rivendicazione incondizionata, quantunque fino all'avvento del socialismo la separazione sia possibile e „realizzabile" in un caso su mille...
Al contrario, il socialista di una piccola nazione deve porre il centro di gravità dell'agitazione sulla seconda parola della nostra formula generale: "volontaria unione" delle nazioni. Egli può, senza trasgredire i suoi doveri di internazionalista, essere e per l'indipendenza politica della sua nazione, e per l'inclusione di essa in un vicino Stato X, Y, 7,, ecc. Ma in ogni caso egli deve lottare contro la grettezza delle piccole nazioni, il loro isolamento, il loro particolarismo, lottare Perché si tenga conto del tutto, dell'assieme del movimento, perché l'interesse particolare venga subordinato all'interesse generale.
Coloro che non hanno approfondito la questione trovano "contraddittorio" che i socialisti dei paesi oppressori insistano sulla "libertà di separazione" e i socialisti delle nazioni oppresse sulla "libertà di unione". Ma se si riflette un Poco si vede che un'altra via per arrivare all'internazionalismo e alla fusione delle nazioni, un'altra via per raggiungere questo scopo partendo dalla situazione attuale, non c'è e non può esserci» (Lenin, "Bilancio della discussione sull'autodecisione», Vol. XIX, pp. 261-262 ed. russa).

VII
STRATEGIA E TATTICA
Di questo tema tratterò sei questioni:
a) la strategia e la tattica, scienza della direzione della lotta di classe del proletariato;
b) le tappe della rivoluzione e la strategia;
c) i flussi e i riflussi del movimento e la tattica;
d) la direzione strategica;
e) la direzione tattica;
f) riformismo e rivoluzionarismo.

1) La strategia e la tattica, scienza della direzione della lotta di classe del proletariato. Il periodo del dominio della II Internazionale fu in prevalenza il periodo della formazione e dell'istruzione degli eserciti proletari, in una situazione di sviluppo più o meno pacifico. Fu il periodo in cui il parlamentarismo era la forma prevalente della lotta di classe. I problemi relativi ai grandi conflitti di classe, alla preparazione del proletariato alle battaglie rivoluzionarie, ai mezzi per conquistare la dittatura del proletariato, non erano allora, a quanto sembrava, all'ordine del giorno. Il compito si riduceva a utilizzare tutte le vie di sviluppo legale per la formazione e l'istruzione degli eserciti proletari, a utilizzare ii parlamentarismo tenendo conto di una situazione in cui il proletariato rimaneva e, a quanto sembrava, doveva rimanere all'opposizione. Non occorre dimostrare che in un simile periodo e con una tale concezione dei compiti del proletariato non poteva esistere né una strategia completa, né una tattica approfondita. Esistevano dei frammenti, delle idee staccate sulla tattica e sulla strategia; ma una tattica e una strategia non esistevano.

Il peccato mortale della II Internazionale non consiste nell'aver applicato a suo tempo la tattica dell'utilizzazione delle forme parlamentari di lotta, ma nell'aver sopravvalutato l'importanza di queste forme, fino a considerarle quasi come le sole esistenti, cosicché, quando sopraggiunse il periodo delle battaglie rivoluzionarie aperte e la questione delle forme di lotta extraparlamentari diventò la più importante, i partiti della II Internazionale si sottrassero ai nuovi compiti, non li riconobbero.
Soltanto nel periodo successivo, periodo di azioni aperte del proletariato, periodo della rivoluzione proletaria, quando il problema del rovesciamento della borghesia diventò un problema pratico immediato, quando la questione delle riserve del proletariato (strategia) diventò una delle questioni più palpitanti, quando tutte le forme di lotta e d'organizzazione, - parlamentari ed extraparlamentari (tattica), - si manifestarono nel modo più netto, soltanto in questo periodo poterono esser elaborate una strategia completa e una tattica approfondita della lotta del proletariato. Le idee geniali di Marx e di Engels sulla tattica e sulla strategia, che gli opportunisti della II Internazionale avevano sotterrato, furono riportate alla luce del sole da Lenin proprio in questo periodo. Ma Lenin non si limitò a restaurare le singole tesi tattiche di Marx e di Engels. Egli le sviluppò e le completò con idee e tesi nuove, raccogliendo il tutto in un sistema di regole e di principii direttivi atti a guidare la lotta di classe del proletariato. Degli scritti di Lenin come «Che fare?», «Due tattiche», «L'imperialismo», «Stato e rivoluzione», «La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky», «La malattia infantile», costituiscono, incontestabilmente, un apporto preziosissimo al tesoro comune del marxismo, al suo arsenale rivoluzionario. La strategia e la tattica del leninismo sono la scienza della direzione della lotta rivoluzionaria del proletariato.

2) Le tappe della rivoluzione e la strategia. La strategia ha per oggetto di fissare, in una determinata tappa della rivoluzione, la direzione del colpo principale del proletariato, di elaborare un corrispondente piano di disposizione delle forze rivoluzionarie (riserve principali e secondarie) e di lottare per l'attuazione di questo piano durante tutto il corso di quella tappa della rivoluzione.
La nostra rivoluzione ha già percorso due tappe e dopo la Rivoluzione d'ottobre é entrata nella terza. Conformemente a ciò si é modificata la strategia.
Prima tappa. 1903-febbraio 1917. Scopo: rovesciare lo zarismo, liquidare completamente le sopravvivenze medioevali. Forza fondamentale della rivoluzione: - il proletariato. Riserva immediata: - i contadini. Direzione del colpo principale: isolamento della borghesia monarchica liberale, che si sforza di attrarre a sé i contadini e di liquidare la rivoluzione per mezzo di un'intesa con lo zarismo. Piano di disposizione delle forze: alleanza della classe operaia con i contadini. «Il proletariato deve condurre a termine la rivoluzione democratica legando a sé la massa dei contadini, per schiacciare con la forza la resistenza dell'autocrazia e paralizzare l'instabilità della borghesia» (Lenin, «Due tattiche della socialdemocrazia», Vol. VIII, p. 96 ed. russa).

Seconda tappa. Marzo 1917-ottobre 1917. Scopo: abbattere l'imperialismo in Russia e uscire dalla guerra imperialista. Forza fondamentale della rivoluzione: - il proletariato. Riserva immediata: - i contadini poveri. Il proletariato dei paesi vicini come riserva probabile. Il prolungarsi della guerra e la crisi dell'imperialismo come circostanza favorevole. Direzione del colpo principale: isolare la democrazia piccolo-borghese (menscevichi, socialisti-rivoluzionari), che si sforza di attrarre a sé le masse lavoratrici dei contadini e di finire la rivoluzione per mezzo di un'intesa con l'imperialismo. Piano di disposizione delle forze: alleanza del proletariato con i contadini poveri. «Il proletariato deve fare a rivoluzione socialista legando a sé la massa degli elementi semiproletari della popolazione, per spezzare con la forza la resistenza della borghesia e paralizzare l'instabilità dei contadini e della piccola borghesia» (Ibidem).

Terza tappa. E' incominciata dopo la Rivoluzione di ottobre. Scopo: consolidare la dittatura del proletariato in un solo paese e servirsene come punto d'appoggio per abbattere l'imperialismo in tutti i paesi. La rivoluzione esce dai limiti di un solo paese; l'epoca della rivoluzione mondiale é incominciata. Forze fondamentali della rivoluzione: la dittatura del proletariato in un paese, il movimento rivoluzionario del proletariato in tutti i paesi. Riserve principali: le masse di semiproletari e di piccoli contadini nei paesi progrediti, il movimento di liberazione nelle colonie e nei paesi dipendenti. Direzione del colpo principale: isolare la democrazia piccolo-borghese, isolare i partiti della II Internazionale, che sono il principale punto di appoggio della politica dell'intesa con l'imperialismo. Piano di disposizione delle forze: alleanza della rivoluzione proletaria con il movimento di liberazione delle colonie e dei paesi dipendenti.
La strategia si occupa delle forze fondamentali della rivoluzione e delle loro riserve. Essa cambia col passare della rivoluzione da una tappa a un'altra e rimane sostanzialmente immutata per tutto il corso di una tappa determinata.

3) I flussi e i riflussi del movimento e la tattica. La tattica ha per oggetto di fissare la linea di condotta del proletariato per un periodo relativamente breve di flusso o di riflusso del movimento, di slancio o di depressione della rivoluzione, di lottare per l'applicazione di questa linea sostituendo forme nuove alle vecchie forme di lotta e di organizzazione, nuove parole d'ordine alle vecchie, coordinando queste forme, ecc. Se la strategia si propone lo scopo, per esempio, di vincere la guerra contro lo zarismo o contro la borghesia, di condurre a termine la lotta contro lo zarismo o la borghesia, la tattica si prefigge degli scopi meno essenziali, poiché si sforza di vincere non la guerra nel suo insieme, ma queste o quelle battaglie, questi o quei combattimenti, di condurre con successo queste o quelle campagne, queste o quelle azioni, corrispondenti alla situazione concreta di un determinato periodo di slancio o di depressione della rivoluzione. La tattica é una parte della strategia, le é subordinata e la serve.
La tattica cambia secondo i flussi e i riflussi. Mentre durante la prima tappa della rivoluzione (1903-febbraio 1917) il piano strategico rimaneva immutato, la tattica, durante questo periodo, cambiò parecchie volte. Nel periodo 1903-1905 la, tattica del partito era offensiva, perché esisteva un flusso rivoluzionario, il movimento rivoluzionario seguiva una linea ascendente e la tattica doveva basarsi su questo fatto. In relazione a ciò, anche le forme di lotta erano rivoluzionarie, rispondenti alle esigenze del flusso della rivoluzione. Scioperi politici locali, manifestazioni politiche, sciopero politico generale, boicottaggio della Duma, insurrezione, parole d'ordine rivoluzionarie di lotta, - tali furono le forme di lotta che si succedettero le une alle altre in quel periodo. In legame con le forme di lotta cambiarono allora anche le forme di organizzazione. Comitati di fabbrica e d'officina, comitati rivoluzionari di contadini, comitati di sciopero, Soviet di deputati operai, partito operaio più o meno legale, - tali erano le forme di organizzazione in quel periodo.

Nel periodo 1907-1912 il partito fu costretto a passare a una tattica di ritirata, perché ci trovavamo di fronte a una depressione del movimento rivoluzionario, a un riflusso della rivoluzione, e la tattica non poteva non tener conto di questo fatto. In relazione a ciò cambiarono tanto le forme di lotta quanto le forme di organizzazione. Invece del boicottaggio della Duma, partecipazione alla Duma; invece delle azioni rivoluzionarie aperte extraparlamentari, discorsi e lavoro alla Duma; invece degli scioperi generali politici, scioperi economici parziali o anche semplicemente la calma. E' chiaro che il partito dovette, in quel periodo, passare all'attività clandestina, mentre le organizzazioni rivoluzionarie di massa vennero sostituite da organizzazioni legali culturali, di educazione, cooperative, di mutuo soccorso, ecc.
Lo stesso si deve dire circa la seconda e la terza tappa della rivoluzione, nel corso delle quali a tattica cambiò decine di volte mentre i piani strategici rimanevano immutati.

La tattica si occupa delle forme di lotta e delle forme di organizzazione del proletariato, della loro successione, della loro coordinazione. In una determinata tappa della rivoluzione, la tattica può cambiare parecchie volte, a seconda dei flussi o dei riflussi, dello slancio o della depressione della rivoluzione.

4) La direzione strategica. Le riserve della rivoluzione possono essere:
dirette: a) i contadini e, in generale, gli strati intermedi della popolazione del proprio paese; b) il proletariato dei paesi vicini; c) il movimento rivoluzionario nelle colonie e nei paesi dipendenti; d) le conquiste e le acquisizioni della dittatura del proletariato, a una parte delle quali il proletariato può temporaneamente rinunciare, conservando però la superiorità nelle forze, allo scopo di ottenere, a prezzo di questa rinuncia, una tregua da un avversario potente;
indirette: a) le contraddizioni e i conflitti fra le classi non proletarie del proprio paese, suscettibili di essere utilizzati dal proletariato per indebolire l'avversario e rafforzare le proprie riserve; b) le contraddizioni, i conflitti e le guerre (per esempio la guerra imperialista) fra gli Stati borghesi ostili allo Stato proletario, conflitti e guerre suscettibili di essere utilizzati dal proletariato nel corso di una sua offensiva o di una manovra in caso di ritirata forzata.
Sulle riserve del primo genere non é necessario soffermarsi, perché la loro importanza é nota a tutti, senza eccezione. Per quanto riguarda le riserve del secondo genere, la cui importanza non é sempre chiara, si deve dire che esse hanno talora un'importanza di prim'ordine per la marcia della rivoluzione. Mal si potrebbe, ad esempio, negare l'importanza enorme del conflitto tra la democrazia piccolo-borghese (socialisti-rivoluzionari) e la borghesia monarchica liberale (cadetti) durante la prima rivoluzione e dopo di essa, conflitto che, senza dubbio, contribuì a sottrarre i contadini all'influenza della borghesia. Sarebbe ancora meno fondato negare l'importanza enorme che ebbe la guerra a morte tra i gruppi fondamentali degli imperialisti nel periodo della Rivoluzione d'ottobre, allorché gli imperialisti, occupati a farsi la guerra, non ebbero la possibilità di concentrare le forze contro il giovane potere sovietico, e il proletariato, appunto per questo, ebbe la possibilità di accingersi seriamente all'organizzazione delle proprie forze e al consolidamento del proprio potere, la possibilità di preparare lo schiacciamento di Kolciak e di Denikin. È da supporre che adesso, mentre gli antagonismi tra i gruppi imperialisti si approfondiscono sempre più e una nuova guerra tra di loro diventa inevitabile, le riserve di questo genere avranno per il proletariato un'importanza sempre maggiore.
Il compito della direzione strategica consiste nell'utilizzare giustamente tutte queste riserve per raggiungere lo scopo essenziale della rivoluzione in una determinata tappa del suo sviluppo.
In che cosa consiste la giusta utilizzazione delle riserve?
Nell'adempimento di alcune condizioni indispensabili, di cui le seguenti devono essere considerate capitali.

In primo luogo. Concentramento del grosso delle forze della rivoluzione nel punto più vulnerabile dell'avversario nel momento decisivo, quando la rivoluzione é già matura, quando l'offensiva marcia a tutto vapore, quando l'insurrezione batte alle porte e quando l'adunata delle riserve attorno all'avanguardia é condizione decisiva per il successo. La strategia del partito nel periodo aprile-ottobre 1917 può essere considerata come un esempio di utilizzazione delle riserve in questo modo. È fuori dubbio che il punto più vulnerabile dell'avversario, in quel periodo, era la guerra. È fuori dubbio che proprio su questa questione, considerata come questione fondamentale, il partito radunò attorno all'avanguardia proletaria le più grandi masse della popolazione. La strategia del partito, in quel periodo, consistette in questo: addestrare l'avanguardia alle azioni di strada per mezzo di manifestazioni e dimostrazioni, e in pari tempo radunare attorno all'avanguardia le riserve, per mezzo dei Soviet nell'interno del paese e dei comitati di soldati al fronte. L'esito della rivoluzione dimostrò che questa utilizzazione delle riserve era giusta.
Ecco cosa dice Lenin, parafrasando le note tesi di Marx e di Engels sull'insurrezione, a proposito di questa condizione dell'utilizzazione strategica delle forze della rivoluzione:
«Non giocare mai con l'insurrezione, ma, quando la si inizia, mettersi bene in testa che bisogna andare sino in fondo. E' necessario raccogliere nel punto decisivo, nel momento decisivo, forze molto superiori a quelle del nemico, perché altrimenti questo, meglio preparato e meglio organizzato, annienterà gl'insorti. Una volta iniziata l'insurrezione, bisogna agire con la più grande decisione e passare assolutamente, a qualunque costo, all'offensiva. La difensiva è la morte dell'insurrezione armata". Bisogna sforzarsi di prendere il nemico alla sprovvista, di cogliere il momento in cui le sue truppe sono disperse. Bisogna riportare ogni giorno (si potrebbe anche dire "ogni ora", se si tratta di una sola città) dei successi, sia pure di poca entità, conservando ad ogni costo la "superiorità morale". (Lenin, «Consigli di un assente, Vol. XXI, pp. 319-320 ed. russa).

In secondo luogo. Scelta del momento del colpo decisivo, del momento per scatenare l'insurrezione, che deve essere quello in cui la crisi é giunta al punto più alto, l'avanguardia é pronta a battersi sino all'ultimo, le riserve sono pronte ad appoggiare l'avanguardia e nel campo del nemico esiste il massimo dello scompiglio.
"Si può considerare completamente matura la battaglia decisiva, - dice Lenin, - se «tutte le forze di classe che ci sono ostili si sono sufficientemente imbrogliate, si sono sufficientemente azzuffate tra di loro, si sono sufficientemente indebolite in una lotta superiore alle loro forze», se «tutti gli elementi intermedi, a differenza della borghesia esitanti, vacillanti, instabili, e cioè la piccola borghesia, la democrazia piccoloborghese, si sono sufficientemente smascherati di fronte al popolo, si sono sufficientemente screditati col loro fallimento all'atto pratico»; se «nel proletariato è sorta e si è potentemente affermata una tendenza di massa ad appoggiare le azioni rivoluzionarie più decise, più ardite e coraggiose contro la borghesia. Allora la rivoluzione è davvero matura, allora, se abbiamo tenuto nel debito conto tutte le condizioni sopra enunciate e se abbiamo scelto bene il momento, la nostra vittoria è sicura» («La malattia infantile», Vol. XXV, p. 229 ed. russa).
Modello di questa strategia può essere considerata l'organizzazione dell'insurrezione d'Ottobre.
Se non si tiene conto di questa condizione, si cade in un errore pericoloso, chiamato «perdita del ritmo», che si ha quando il partito ritarda sulla marcia del movimento o corre troppo avanti, creando il pericolo di un insuccesso. Un esempio di questa «perdita del ritmo», un esempio del modo come non bisogna scegliere il momento dell'insurrezione, dev'essere considerato il tentativo di una parte dei compagni di cominciare l'insurrezione con l'arresto dei membri della Conferenza democratica nel settembre 1917, quando si sentiva ancora della esitazione nei Soviet, quando il fronte era ancora incerto del suo cammino e le riserve non si erano ancora adunate attorno all'avanguardia.

In terzo luogo. Applicare fermamente la linea adottata, malgrado tutte le difficoltà e le complicazioni che possono sorgere sulla via che conduce alla meta, acciocché l'avanguardia non perda di vista la meta essenziale della lotta, e le masse non si disperdano mentre marciano verso questa meta e si sforzano di raggrupparsi attorno all'avanguardia. Se non si tiene conto di questa condizione, si cade in un grave errore, ben noto ai marinai col nome di «perdita della rotta». Un esempio di questa «perdita della rotta» dev'essere considerata l'errata posizione del nostro partito, subito dopo la conferenza democratica, quando esso decise di partecipare al Preparlamento. In quel momento il partito sembrò aver dimenticato che il Preparlamento era un tentativo della borghesia di sviare il paese dalla via dei Soviet e incanalarlo in quella del parlamentarismo borghese, che la partecipazione del partito a una simile istituzione poteva imbrogliare tutte le carte e disorientare gli operai e i contadini, che conducevano la lotta rivoluzionaria con la parola d'ordine: «Tutto il potere ai Soviet». Quest'errore fu corretto mediante l'uscita dei bolscevichi dal Preparlamento.

In quarto luogo. Manovrare con le riserve in modo da potersi ritirare in buon ordine quando il nemico é forte, quando la ritirata é inevitabile, quando é visibilmente dannoso accettare la battaglia che il nemico vuole imporre e quando la ritirata, dato il rapporto delle forze in presenza, é l'unico mezzo per sottrarre l'avanguardia al colpo che la minaccia e conservare le riserve.
«I partiti rivoluzionari, - dice Lenin, - debbono completare la loro istruzione. Essi hanno imparato a condurre l'offensiva. Ora bisogna comprendere la necessità di completare questa scienza con la scienza della ritirata in buon ordine. Bisogna comprendere, - e la classe rivoluzionaria impara a comprendere dalla propria amara esperienza, -- che non si può vincere senza aver appreso la scienza dell'offensiva e la scienza della ritirata» (Ib., p. 177).
Scopo di questa strategia é di guadagnar tempo, disgregare l'avversario e accumular forze per passar poi all'offensiva.
Modello di questa strategia può essere considerata la conclusione della pace di Brest, che permise al partito di guadagnar tempo, di sfruttare i conflitti nel campo dell'imperialismo, di disgregare le forze dell'avversario, di mantenere i legami coi contadini e accumulare le forze per preparare l'offensiva contro Kolciak e Denikin.

«Concludendo una pace separata, - diceva Lenin allora, - ci liberiamo, il più che é possibile nell'attuale situazione, da entrambi i gruppi imperialisti nemici, approfittiamo della loro ostilità e della loro guerra, - che rende loro difficile di mettersi d'accordo contro di noi, - e, approfittandone, ci assicuriamo per un certo periodo le mani libere per proseguire e consolidare la rivoluzione socialista» (Lenin, «Tesi sulla questione della conclusione della pace separata», Vol. XXII, p. 198 ed. russa).
«Ora, - scriveva Lenin tre anni dopo la pace di Brest-Litovsk, - anche l'ultimo degl'imbecilli» vede «che "la pace di Brest" fu una concessione che ha accresciuto le nostre forze e ha frazionato quelle dell'imperialismo internazionale» (Lenin, «Tempi nuovi, vecchi errori in forma nuova», Vol. XXVII, p. 7 ed. russa).
Queste sono le condizioni principali che assicurano una giusta direzione strategica.

5) La direzione tattica. La direzione tattica é parte della direzione strategica, alle esigenze e ai compiti della quale é subordinata. Il compito della direzione tattica consiste nell'esser padroni di tutte le forme di lotta e di organizzazione del proletariato e nell'assicurare una loro giusta utilizzazione, allo scopo di raggiungere, dato il rapporto di forze esistente, il massimo dei risultati necessario alla preparazione del successo strategico.
In che cosa consiste la giusta utilizzazione delle forme di lotta e di organizzazione del proletariato?
Nell'adempimento di alcune condizioni indispensabili, di cui le seguenti debbono essere considerate capitali.
In primo luogo. Mettere al primo piano precisamente quelle forme di lotta e di organizzazione che, meglio corrispondendo alle condizioni -del flusso o del riflusso del movimento, sono atte a facilitare e assicurare lo spostamento delle masse verso posizioni rivoluzionarie, lo spostamento di masse di milioni di uomini verso il fronte della rivoluzione, il loro schieramento sul fronte della rivoluzione.
Ciò che importa non é che l'avanguardia sia cosciente dell'impossibilità di mantenere l'antico ordine di cose e della ineluttabilità del suo rovesciamento. Ciò che importa é che le masse, masse di milioni di uomini, comprendano questa necessità e si mostrino pronte ad appoggiare l'avanguardia. Ma questo le masse possono comprenderlo solo attraverso la loro propria esperienza. Dare a masse di milioni di uomini la possibilità di constatare, in base alla loro esperienza, l'ineluttabilità del rovesciamento del vecchio potere, impiegare tali mezzi di lotta e tali forme di organizzazione che permettano alle masse di constatare in base all'esperienza la giustezza delle parole d'ordine rivoluzionarie, - questo é il compito da assolvere.
L'avanguardia si sarebbe staccata dalla classe operaia, e la classe operaia avrebbe perduto il contatto con le masse se, a suo tempo, il partito non avesse deciso di partecipare alla Duma, se non avesse deciso di concentrare le forze nel lavoro parlamentare e di sviluppare la lotta sulla base di questo lavoro, al fine di permettere alle masse di constatare, per loro propria esperienza, la nullità della Duma, la fallacia delle promesse dei cadetti, l'impossibilità di un accordo con lo zarismo, l'inevitabilità dell'alleanza dei contadini con la classe operaia. Senza l'esperienza fatta dalle masse nel periodo della Duma, lo smascheramento dei cadetti e l'egemonia del proletariato sarebbero stati impossibili.
Il pericolo della tattica dell'otsovismo (1) consisteva nel fatto ch'essa minacciava di creare un distacco tra l'avanguardia e le sue riserve di milioni di uomini.
(1) «Otsovisti»: - (da otosvat = richiamare) si chiamarono i seguaci di una corrente opportunista piccolo-borghese, sorta nelle file del partito bolscevico negli anni della reazione (1908-1912). Gli otsovisti esigevano il richiamo dalla Duma di Stato dei deputati socialdemocratici e respingevano il lavoro nei sindacati e nelle altre organizzazioni operaie legali)

II partito si sarebbe staccato dalla classe operaia e la classe operaia avrebbe perduto la sua influenza tra le grandi masse dei contadini e dei soldati se il proletariato avesse seguito i comunisti di sinistra che lanciavano l'appello all'insurrezione nell'aprile del 1917, quando i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari non avevano ancora avuto il tempo di smascherarsi quali partigiani della guerra e dell'imperialismo, quando le masse non avevano ancora avuto il tempo di constatare, per loro propria esperienza, la fallacia dei discorsi dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari sulla pace, sulla terra, sulla libertà. Senza l'esperienza fatta dalle masse nel periodo del governo di Kerenski, i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari non avrebbero potuto essere isolati e la dittatura del proletariato sarebbe stata impossibile. Perciò la tattica della «spiegazione paziente» degli errori dei partiti piccolo-borghesi e della lotta aperta in seno ai Soviet era la sola tattica giusta.
Il pericolo della tattica dei comunisti di sinistra consisteva nel fatto ch'essa minacciava di fare del partito non più il capo della rivoluzione proletaria, ma un gruppo di cospiratori vuoti e inconsistenti.
«Con la sola avanguardia, - dice Lenin, - non si può vincere. Gettare la sola avanguardia nella battaglia decisiva, prima che tutta la classe, prima che le grandi masse abbiano preso una posizione o di appoggio diretto dell'avanguardia o, almeno, di benevola neutralità verso di essa. .. non sarebbe soltanto una sciocchezza, ma anche un delitto. Ma affinché effettivamente tutta la classe, affinché effettivamente le grandi masse dei lavoratori e degli oppressi dal capitale giungano a prendere tale posizione, la sola propaganda, la sola agitazione non bastano. Per questo è necessaria l'esperienza politica delle masse stesse. Tale è la legge fondamentale di tutte le grandi rivoluzioni, confermata oggi con una forza e un rilievo sorprendenti non solo dalla Russia, ma anche dalla Germania. Non solo le masse russe incolte, spesso analfabete, ma anche le masse tedesche, fornite di un alto grado di cultura e fra cui non vi sono analfabeti, per volgersi risolutamente verso il comunismo hanno dovuto constatare a loro spese tutta l'impotenza, tutta la mancanza di carattere, tutta l'incapacità, tutto il servilismo davanti alla borghesia, tutta l'abiezione del governo dei paladini della II Internazionale, tutta l'inevitabilità della dittatura dei reazionari estremi (Kornilov in Russia, Kapp e C. in Germania) come unica alternativa alla dittatura del proletariato» (Lenin, "La malattia infantile», Vol. XXV, p. 228 ed. russa).

In secondo luogo. Trovare, in ogni momento determinato, nella catena degli avvenimenti, quell'anello particolare, aggrappandosi al quale sarà possibile reggere tutta la catena e preparare le condizioni del successo strategico.
Occorre scegliere, fra i vari compiti che si pongono al partito, precisamente quel compito immediato la soluzione del quale é il punto centrale e l'adempimento del quale assicura una felice soluzione di tutti gli altri compiti immediati.
L'importanza di questa tesi si potrebbe dimostrare con due esempi, di cui l'uno potrebbe esser preso dal passato lontano (periodo della formazione del partito) e l'altro da un passato più recente (periodo della Nep).
Nel periodo della formazione del partito, quando esisteva una quantità innumerevole di circoli e di organizzazioni non ancora collegate tra di loro, quando il primitivismo e questa moltitudine di circoli corrodevano il partito da cima a fondo, quando la confusione ideologica era il tratto caratteristico della vita interna del partito, in quel periodo l'anello essenziale, il compito fondamentale nella catena degli anelli e nella catena dei compiti che stavano allora davanti al partito, era la creazione di un giornale illegale per tutta la Russia. Perché? Perché soltanto per mezzo di un giornale illegale per tutta la Russia era possibile, nelle condizioni d'allora, creare un nucleo coeso di partito, capace di raccogliere in un tutto unico i circoli e le organizzazioni innumerevoli, di preparare le condizioni dell'unità ideologica e tattica e porre così le basi per la formazione di un vero partito.
Nel periodo del passaggio dalla guerra all'edificazione economica, quando l'industria vegetava in preda alla disorganizzazione e l'agricoltura soffriva della mancanza di prodotti industriali, quando la saldatura dell'industria di Stato con l'economia contadina era diventata la condizione essenziale del successo dell'edificazione socialista, in quel periodo l'anello essenziale della catena dello sviluppo, il compito fondamentale fra tutti gli altri era lo sviluppo del commercio. Perché? Perché durante la Nep (Nuova politica economica) la saldatura dell'industria con l'economia contadina non era possibile altrimenti che attraverso il commercio, perché durante la Nep la produzione senza smercio era la morte dell'industria; perché l'industria poteva estendersi solo attraverso una estensione dello smercio dovuta allo sviluppo del commercio, perché solo dopo essersi consolidati nel campo del commercio, solo dopo esser diventati padroni del commercio, solo dopo esser diventati padroni di quest'anello, si poteva sperare di saldare l'industria col mercato contadino e di risolvere felicemente gli altri compiti immediati, allo scopo di creare le condizioni per la costruzione delle fondamenta dell'economia socialista.

«Non basta esser rivoluzionario e partigiano del socialismo, o comunista in generale... - dice Lenin. - Bisogna saper trovare, in ogni momento, quell'anello particolare della catena a cui aggrapparsi con tutte le forze per reggere tutta la catena e preparare solidamente il passaggio all'anello successivo»... «Nel momento attuale ... quest'anello è la rianimazione del commercio interno, a condizione che esso sia ben regolato (diretto) da parte dello Stato. Il commercio: ecco "l'anello" nella catena storica degli avvenimenti, delle forme transitorie della nostra edificazione socialista negli anni 1921-1922, al quale ci si deve aggrappare con tutte le forze".. .» (Lenin, «L'importanza dell'oro oggi e dopo la vittoria totale del socialismo», Vol. XXVII, p. 82 ed. russa).
Queste sono le condizioni principali che assicurano una giusta direzione tattica.

6) Riformismo e rivoluzionarismo. In che cosa la tattica rivoluzionaria si distingue dalla tattica riformista?
Alcuni pensano che il leninismo é contro le riforme, contro i compromessi e gli accordi, in generale. Ciò é assolutamente falso. I bolscevichi sanno, non meno di chicchessia, che, in un certo senso, «ogni cosa che ti danno é buona», sanno che, in determinate circostanze, le riforme in generale, i compromessi e gli accordi in particolare, sono necessari e utili.
«Condurre la guerra, - dice Lenin, - per il rovesciamento della borghesia internazionale, guerra cento volte più difficile, più lunga e più complicata della più accanita delle guerre abituali fra gli Stati, e rinunziare in anticipo a destreggiarsi, a sfruttare gli antagonismi di interessi (sia pure temporanei) tra i propri nemici, rinunziare agli accordi e ai compromessi con dei possibili alleati (sia pure temporanei, poco sicuri, esitanti, condizionali), non è cosa sommamente ridicola? Non è come se, nell'ardua scalata di un monte ancora inesplorato e inaccessibile, si rinunziasse preventivamente a fare talora degli zig-zag, a ritornare qualche volta sui propri passi, a lasciare la direzione presa all'inizio per tentare direzioni diverse?» (Lenin, «La malattia infantile», Vol. XXV, p. 210 cd. russa).

Quel che conta, evidentemente, non sono le riforme o i compromessi e gli accordi, ma é l'uso che si fa delle riforme e degli accordi.
Per il riformista, la riforma é tutto; il lavoro rivoluzionario, invece, serve così, tanto per parlarne, per gettare polvere negli occhi. Perciò con la tattica riformista, sino a che esiste il potere borghese, una riforma si converte inevitabilmente in uno strumento di rafforzamento di questo potere, in uno strumento di disgregazione della rivoluzione.
Per il rivoluzionario, invece, l'essenziale é il lavoro rivoluzionario, non la riforma; per lui la riforma é soltanto un prodotto accessorio della rivoluzione. Perciò con la tattica rivoluzionaria, sino a che esiste il potere borghese, una riforma si converte naturalmente in uno strumento di disgregazione di questo potere, in uno strumento di rafforzamento della rivoluzione, in un punto di appoggio per l'ulteriore sviluppo del movimento rivoluzionario.
Il rivoluzionario accetta la riforma al fine di utilizzarla come un appiglio per combinare il lavoro legale con il lavoro illegale, al fine di servirsene come una copertura per il rafforzamento del lavoro illegale che ha per oggetto la preparazione rivoluzionaria delle masse al rovesciamento della borghesia.
Questa é l'essenza dell'utilizzazione rivoluzionaria delle riforme e degli accordi nelle condizioni esistenti nel periodo dell'imperialismo.
Il riformista, al contrario, accetta le riforme per rinunciare a ogni lavoro illegale, sabotare la preparazione delle masse alla rivoluzione e riposare all'ombra della riforma "concessa".
Questa é l'essenza della tattica riformista.
Così si presenta il problema delle riforme e degli accordi nelle condizioni esistenti nel periodo dell'imperialismo.

Le cose cambiano però alquanto dopo l'abbattimento dell'imperialismo, durante la dittatura del proletariato. In certi casi, in certe condizioni, il potere proletario può trovarsi costretto ad abbandonare provvisoriamente la via della riedificazione rivoluzionaria dell'ordine di cose esistente e a prender la via della sua trasformazione graduale, «la via riformista, come dice Lenin nel suo articolo "L'importanza dell'oro", la via dei movimenti aggiranti, la via delle riforme e delle concessioni alle classi non proletarie, allo scopo di disgregare queste classi e concedere alla rivoluzione una tregua, allo scopo di raccogliere le proprie forze e preparare le condizioni di una nuova offensiva. Non si può negare che questa via é, in un certo senso, una via riformista. Bisogna però ricordare che ci troviamo qui di fronte a una particolarità fondamentale, la quale consiste nel fatto che la riforma emana in questo caso dal potere proletario, ch'essa rafforza il potere proletario, ch'essa gli procura la tregua necessaria, ch'essa é destinata a disgregare non la rivoluzione, ma le classi non proletarie.
La riforma, in queste condizioni, si trasforma, quindi, nel suo apposto.

L'adozione di una tale politica da parte del potere proletario diventa possibile perché e soltanto perché l'ampiezza della rivoluzione é stata, nel periodo precedente, abbastanza grande e ha quindi lasciato uno spazio sufficiente per poter battere in ritirata, per sostituire alla tattica dell'offensiva la tattica di una ritirata temporanea, la tattica dei movimenti aggiranti.
Se prima, dunque, sotto il potere borghese, le riforme erano un prodotto accessorio della rivoluzione, ora, durante la dittatura del proletariato, la sorgente delle riforme sta nelle conquiste rivoluzionarie del proletariato, nelle riserve accumulate nelle mani del proletariato e costituite da queste conquiste.

"Soltanto il marxismo, - dice Lenin, - ha determinato esattamente e giustamente il rapporto tra le riforme e la rivoluzione. Marx poteva vedere questo rapporto soltanto sotto uno dei suoi aspetti, cioè nella situazione precedente una prima vittoria del proletariato, sia pure di scarsa solidità e di scarsa durata, sia pure in un solo paese. In quella situazione la base di un giusto rapporto tra le riforme e la rivoluzione era questa: la riforma è un prodotto accessorio della lotta di classe rivoluzionaria del proletariato... Dopo la vittoria del proletariato almeno in un solo paese, appare qualche cosa di nuovo nel rapporto tra le riforme e la rivoluzione. In linea di principio le cose stanno come prima, nella forma però sopravviene una modificazione che Marx personalmente non poteva prevedere, ma di cui ci si può render conto soltanto sulla base della filosofia e della politica del marxismo... Dopo la vittoria, esse (vale a dire le riforme. G.St, (pur continuando ad essere su scala internazionale lo stesso "prodotto accessorio"), costituiscono inoltre, per il paese in cui il proletariato ha vinto, una tregua necessaria e legittima nei casi in cui le forze, dopo una tensione estrema, sono manifestamente insufficienti per superare in modo rivoluzionario l'una o l'altra tappa. La vittoria crea una tale "riserva di forze", che permette di tener duro anche nel caso di una ritirata forzata, di tener duro materialmente e moralmente (Lenin, "L'importanza dell'oro», Vol. XXVII, pp. 84-85 ed. russa).

VIIII
IL PARTITO
Nel periodo prerivoluzionario, nel periodo di sviluppo più o meno pacifico, quando i partiti della II Internazionale erano la forza dominante nel movimento operaio e le forme parlamentari di lotta erano considerate le principali, - in quelle condizioni il partito non aveva, né poteva avere, l'importanza seria e decisiva che ha acquistato in seguito, in un periodo di grandi battaglie rivoluzionarie. Difendendo la II Internazionale dagli attacchi cui é fatta segno, Kautsky dice che i partiti della II Internazionale sono strumenti di pace e non di guerra, che appunto per questo essi non furono in grado di intraprendere alcunché di serio durante la guerra, nel periodo delle azioni rivoluzionarie del proletariato. Questo é perfettamente vero. Ma che significa questo? Questo significa che i partiti della II Internazionale non sono atti alla lotta rivoluzionaria del proletariato, che essi non sono dei partiti di lotta del proletariato, i quali conducano gli operai alla conquista del potere, ma un apparato elettorale, adatto alle elezioni parlamentari e alla lotta parlamentare. Così si spiega, del resto, il fatto che, nel periodo del prevalere degli opportunisti della II Internazionale, l'organizzazione politica fondamentale del proletariato non fosse il partito, ma il gruppo parlamentare. E' noto che in quel periodo il partito era, praticamente, un'appendice, un elemento al servizio del gruppo parlamentare. Non occorre dimostrare che, in tali condizioni e sotto la guida di un tal partito, non si poteva nemmeno parlare di preparazione del proletariato alla rivoluzione.

Si ebbe, tuttavia, un mutamento radicale con l'aprirsi del nuovo periodo. Il nuovo periodo é quello dei conflitti di classe aperti, é il periodo delle azioni rivoluzionarie del proletariato, il periodo della rivoluzione proletaria, il periodo della preparazione immediata delle forze all'abbattimento dell'imperialismo, alla presa del potere da parte del proletariato. Questo periodo pone di fronte al proletariato compiti nuovi: - la riorganizzazione di tutto il lavoro del partito su una nuova base, su una base rivoluzionaria, l'educazione degli operai nello spirito della lotta rivoluzionaria per il potere, la preparazione e la mobilitazione delle riserve, l'alleanza coi proletari dei paesi vicini, la creazione di saldi legami con il movimento di liberazione delle colonie e dei paesi dipendenti, ecc. ecc. Pensare che questi nuovi compiti possano essere risolti con le forze dei vecchi partiti socialdemocratici, educati nelle pacifiche condizioni del parlamentarismo, significa condannarsi irrimediabilmente alla disperazione, a una sconfitta sicura. Restare, quando si hanno tali compiti sulle spalle, sotto la direzione dei vecchi partiti, vuol dire ridursi a uno stato di disarmo completo. Non occorre dimostrare che il proletariato non poteva rassegnarsi a tale situazione.

Di qui la necessità di un nuovo partito, di un partito combattivo, di un partito rivoluzionario, abbastanza audace per condurre i proletari alla lotta per il potere, abbastanza ricco di esperienza per sapersi orientare nelle intricate condizioni di una situazione rivoluzionaria, e abbastanza agile per evitare ogni sorta di scogli subacquei sulla via che conduce alla meta.
Senza un tale partito, non si può nemmeno pensare ad abbattere l'imperialismo, a conquistare la dittatura del proletariato.
Questo nuovo partito é il partito del leninismo.

Quali sono le particolarità di questo nuovo partito?
1) Il partito, reparto di avanguardia della classe operaia. Il partito deve essere, prima di tutto, il reparto di avanguardia della classe operaia. Il partito deve assorbire tutti i migliori elementi della classe operaia, la loro esperienza, il loro spirito rivoluzionario, la loro devozione sconfinata alla causa del proletariato. Ma per essere effettivamente il reparto di avanguardia, il partito deve essere armato d'una teoria rivoluzionaria, deve conoscere le leggi dei movimento, deve conoscere le leggi della rivoluzione, Se no, non é in grado di dirigere
la lotta del proletariato, di condurre dietro a sé il proletariato. Il partito non può essere un vero partito se si limita a registrare quel che la massa della classe operaia sente e pensa, se si trascina alla coda del movimento spontaneo, se non sa superare l'inerzia e l'indifferenza politica del movimento spontaneo, se non sa elevarsi al disopra degl'interessi momentanei del proletariato, se non sa elevare le masse al livello degl'interessi di classe del proletariato. Il partito deve porsi alla testa della classe operaia, deve vedere più lontano della classe operaia, deve condurre dietro a sé il proletariato e non trascinarsi alla coda del movimento spontaneo.

I partiti della II Internazionale, che predicano il « codismo», sono agenti della politica borghese, che condanna il proletariato alla funzione di strumento nelle mani della borghesia. Soltanto un partito che si consideri come reparto di avanguardia del proletariato e sia capace di elevare le masse al livello degl'interessi di classe del proletariato, soltanto un tale partito é in grado di distogliere la classe operaia dalla via del tradunionismo e di trasformarla in forza politica indipendente. Il partito é il capo politico della classe operaia.
Ho già parlato delle difficoltà della lotta della classe operaia, delle complessità delle condizioni della lotta, della strategia e della tattica, delle riserve e delle manovre, dell'offensiva e della ritirata. Queste condizioni non sono meno complesse, se pur non sono più complesse delle condizioni di una guerra. Chi può orientarsi in queste condizioni, chi può dare un giusto orientamento a una massa di milioni di proletari? Non v'é esercito in guerra che possa fare a meno di uno stato maggiore sperimentato, se non vuole condannarsi alla disfatta. Non é chiaro che a maggior ragione non può fare a meno di un tale stato maggiore il proletariato, se non vuol darsi in pasto al suo nemico giurato? Ma dove é questo stato maggiore? Questo stato maggiore può essere soltanto il partito rivoluzionario del proletariato. La classe operaia, senza un partito rivoluzionario, é un esercito senza stato maggiore. Il partito é lo stato maggiore di lotta del proletariato.

Ma il partito non può essere solo un reparto di avanguardia. Esso deve essere, in pari tempo, un reparto, una parte della classe operaia, parte intimamente legata ad essa con tutte le fibre della sua esistenza. La distinzione fra l'avanguardia e la restante massa della classe operaia, fra i membri del partito e i senza partito, non può scomparire fino a che non saranno scomparse le classi, fino a che il proletariato si accrescerà di elementi provenienti da altre classi, fino a che la classe operaia, nel suo insieme, sarà privata della possibilità di elevarsi al livello del reparto d'avanguardia. Ma il partito cesserebbe di essere il partito, se questa distinzione si trasformasse in rottura, se esso si racchiudesse in sé stesso e si distaccasse dalle masse senza partito. Il partito non può dirigere la classe se non é legato con le masse senza partito, se non esiste una saldatura tra il partito e le masse senza partito, se queste masse non accettano la sua direzione, se il partito non gode tra le masse di un credito morale e politico.
Recentemente sono stati ammessi nel nostro partito duecentomila nuovi membri operai. Ed é degno di nota che non sono entrati nel partito da sé, ma, piuttosto, vi sono stati inviati da tutta la rimanente massa senza partito, che ha partecipato attivamente all'ammissione dei nuovi membri e senza l'approvazione della quale non sono stati ammessi, in generale, dei nuovi membri. Questo fatto prova che le grandi masse degli operai senza partito considerano il nostro partito come il loro partito, il partito che é loro vicino e familiare, allo sviluppo e al rafforzamento del quale sono legati i loro interessi vitali e alla direzione del quale essi affidano volontariamente la loro sorte. Non occorre dimostrare che senza questi vincoli morali inafferrabili che legano il partito alle masse senza partito, il partito non potrebbe diventare la forza decisiva della propria classe. Il partito é parte inseparabile della classe operaia.

" Noi siamo, - dice Lenin, - il partito della classe, e perciò quasi tutta la classe (e, in tempo di guerra, nell'epoca della guerra civile, la classe tutt'intera) deve agire sotto la direzione del nostro partito, deve stringersi il più saldamente che è possibile attorno al nostro partito. Ma sarebbe "manilovismo" (= fiacchezza, indolenza, vuota fantasticheria. Da Manilov, uno dei personaggi delle "Anime morte" di Gogol. Ndr.) e "codismo" pensare che, in regime capitalista, quasi tutta o tutta la classe possa mai elevarsi alla coscienza e all'attività della propria avanguardia, del proprio partito socialista. Nessun socialista ragionevole ha mai posto in dubbio che, in regime capitalista, neanche l'organizzazione sindacale (più primitiva, più accessibile alla coscienza degli strati arretrati) è in grado di abbracciare quasi tutta o tutta la classe operaia. Dimenticare la distinzione che passa tra il reparto di avanguardia e tutte le masse che gravitano verso di esso, dimenticare il costante dovere del reparto di avanguardia di elevare degli strati sempre più larghi fino a questo livello dell'avanguardia, vorrebbe dire ingannar se stessi, chiudere gli occhi di fronte alla grandiosità dei nostri compiti, restringere questi compiti" (Lenin, «Un passo avanti, due indietro», Vol. VI, pp. 205-206 ed. russa).

2) Il partito, reparto organizzato della classe operaia. Il partito non é soltanto il reparto di avanguardia della classe operaia. Se vuole effettivamente dirigerne la lotta, esso dev'essere in pari tempo anche il reparto organizzato della propria classe. In regime capitalista i compiti del partito sono straordinariamente grandi e vari. Il partito deve dirigere la lotta del proletariato in condizioni straordinariamente difficili di sviluppo interno ed esterno, deve condurre il proletariato all'offensiva quando la situazione esige l'offensiva, deve sottrarre il proletariato ai colpi di un avversario potente quando la situazione esige la ritirata, deve infondere in masse di milioni di operai senza partito disorganizzati lo spirito di disciplina e di metodo nella lotta, lo spirito d'organizzazione e la fermezza. Ma il partito può adempiere questi compiti soltanto se esso stesso é la personificazione della disciplina e dell'organizzazione, se esso stesso é un reparto organizzato del proletariato. Senza queste condizioni, non si può nemmeno parlare di una vera direzione, da parte del partito, di milioni di proletari. Il partito é il reparto organizzato della classe operaia.

Il concetto del partito, come di un tutto organizzato, é stato fissato nella nota formulazione data da Lenin al primo articolo dello statuto del nostro partito, dove il partito viene considerato come la somma delle sue organizzazioni e membri di partito vengono considerati i membri di una delle organizzazioni del partito. I menscevichi, che già nel 1903 si opponevano a questa formula, proponevano in cambio di essa un «sistema» di autoadesione al partito, un «sistema» di estensione dell'« appellativo» di membro del partito a ogni «professore» e «collegiale», a ogni «simpatizzante» e «scioperante», che sostenesse il partito in un modo o nell'altro, pur senza aderire e senza voler aderire ad alcuna delle organizzazioni del partito. Non occorre dimostrare che questo «sistema» originale, se fosse prevalso nel nostro partito, avrebbe inevitabilmente portato a un'invasione del partito da parte di professori e di collegiali, lo avrebbe fatto degenerare in una
«entità» mal definita, amorfa, disorganizzata, sommersa dalla marea dei «simpatizzanti», che avrebbe cancellato ogni frontiera tra il partito e la classe e sarebbe venuta meno al compito del partito di elevare
le masse disorganizzate al livello dell'avanguardia. Né occorre dire che, con un tale «sistema» opportunista, il nostro partito non avrebbe potuto adempiere la sua funzione di nucleo organizzatore della classe operaia nel corso della nostra rivoluzione.

"Secondo il punto di vista di Martov, - dice Lenin, - le frontiere del partito restano assolutamente indeterminate, poiché "ogni scioperante" può "dichiararsi membro del partito". Quale utilità presenta questo amorfismo? La larga diffusione di un "appellativo". Il danno ch'essa reca è di dar corso all'idea disorganizzatrice della confusione della classe col partito". (lb., p. 211).
Ma il partito non è solo la somma delle organizzazioni di partito. Il partito é in pari tempo il sistema unico di queste organizzazioni, la loro unione formale in un tutto unico, nel quale esistono organi di direzione superiori e inferiori, nel quale esiste una sottomissione della minoranza alla maggioranza, nel quale esistono delle decisioni pratiche, obbligatorie per tutti i membri del partito. Senza questa condizione, il partito non é in grado di essere un tutto unico organizzato, capace di assicurare una direzione organizzata e sistematica della lotta della classe operaia.
«Prima, - dice Lenin, - il nostro partito non era un tutto formalmente organizzato, ma soltanto una somma di gruppi particolari, e perciò tra questi gruppi non potevano esservi altri rapporti che di influenza ideologica. Oggi siamo diventati un partito organizzato, e questo significa creazione di un potere, trasformazione del prestigio delle idee nell'autorità del potere, sottomissione delle istanze inferiori del partito alle istanze superiori» (Ib., p. 291).
Il principio della sottomissione della minoranza alla maggioranza, il principio della direzione del lavoro del partito da parte del centro provoca non di rado attacchi da parte degli elementi instabili, accuse di «burocratismo», di «formalismo», ecc. Non occorre dimostrare che, se non venissero applicati questi principii, il partito, come un tutto unico, non potrebbe lavorare sistematicamente, né dirigere la lotta della classe operaia. Nel campo dell'organizzazione, il leninismo é l'applicazione inflessibile di questi principii. La lotta contro questi principii Lenin la chiama «nichilismo russo» e «anarchismo da gran signore», degno di esser deriso e respinto.
Ecco che cosa dice Lenin di questi elementi instabili nel suo libro «Un passo avanti»:
«Quest'anarchismo da gran signore è caratteristico del nichilista russo. L'organizzazione del partito sembra a costui una "fabbrica" mostruosa; la sottomissione della parte al tutto e della minoranza alla maggioranza gli appare come una ,"servitù", ... la divisione del lavoro, sotto la direzione di un centro, gli fa lanciare degli strilli tragicomici contro la trasformazione degli uomini in "viti e rotelle" ..., la sola menzione dello statuto di organizzazione del partito suscita in lui una smorfia sdegnosa e la sprezzante ... osservazione che si potrebbe benissimo anche fare a meno dello statuto ... E' chiaro, mi pare, che gli strilli contro il famoso burocratismo non servono ad altro che a mascherare il malcontento per la composizione personale degli organismi centrali, non sono che una foglia di fico... Tu sei un burocrate, perché sei stato nominato dal congresso non con il mio consenso, ma contro di esso; tu sei un formalista, perché ti appoggi sulle decisioni formali del congresso e non sul mio consenso; tu agisci in modo brutale e meccanico, perché ti richiami alla maggioranza "meccanica" del congresso del partito e non tieni conto del mio desiderio di essere cooptato; tu sei un autocrate, perché non vuoi rimettere il potere nelle mani della vecchia cricca'' (Ib., pp. 310 e 287).
Si tratta della «cricca» di Axelrod, Martov, Potressov e degli altri, che noi si erano sottomessi alle decisioni del II Congresso e accusavano Lenin di «burocratismo».

3) Il partito, forma suprema dell'organizzazione di classe del proletariato. Il partito é il reparto organizzato della classe operaia. Ma il partito non é l'unica organizzazione della classe operaia. Il proletariato ha tutta una serie di altre organizzazioni, senza le quali non può lottare con successo contro il capitale: sindacati, cooperative, organizzazioni di fabbrica e di officina, gruppi parlamentari, associazioni di donne senza partito, stampa, organizzazioni culturali, educative, federazioni giovanili, organizzazioni rivoluzionarie di combattimento (durante le grandi battaglie rivoluzionarie), Soviet dei deputati come forma di organizzazione statale (se il proletariato é al potere), ecc. L'enorme maggioranza di queste organizzazioni non sono organizzazioni di partito e soltanto una parte di esse aderiscono direttamente al partito o ne sono una ramificazione. Tutte queste organizzazioni sono, in condizioni determinate, assolutamente necessarie alla classe operaia, perché senza di esse é impossibile consolidare le posizioni di classe del proletariato nei diversi campi della lotta, perché senza di esse é impossibile temprare il proletariato come forza chiamata a sostituire all'ordine borghese l'ordine socialista.

Ma come organizzare una unità di direzione, data una tale abbondanza di organizzazioni? Dov'é la garanzia che l'esistenza di una molteplicità di organizzazioni non renderà la direzione incoerente? Si potrebbe rispondere che ognuna di queste organizzazioni fa il suo lavoro nel campo che le é proprio e che, per conseguenza, esse non possono disturbarsi a vicenda. Questo, naturalmente, é vero. Ma é anche vero che tutte queste organizzazioni devono lavorare in una sola direzione, perché esse servono una sola classe, la classe dei proletari. Si domanda: chi determina la linea, la direzione comune, secondo la quale tutte queste organizzazioni debbono svolgere il loro lavoro? Qual é l'organizzazione centrale che non solo é capace, possedendo la necessaria esperienza, di elaborare questa linea comune, ma ha anche la possibilità, possedendo il prestigio sufficiente per farlo, di stimolare tutte queste organizzazioni e mettere in pratica questa linea, allo scopo di realizzare l'unità di direzione e di escludere la possibilità di incoerenze?
Quest'organizzazione é il partito del proletariato.

Il partito ha tutti i requisiti per questa funzione, perché, in primo luogo, il partito é il punto attorno al quale si raccolgono i migliori elementi della classe operaia, che hanno legami diretti con le organizzazioni proletarie senza partito e molto spesso le dirigono; perché, in secondo luogo, il partito, come punto attorno al quale si raccolgono i migliori elementi della classe operaia, é la scuola migliore per la formazione di capi della classe operaia, capaci di dirigere tutte le forme di organizzazione della loro classe; perché, in terzo luogo, il partito, in quanto é la scuola migliore dei capi della classe operaia, é, per la sua esperienza e per il suo prestigio, l'unica organizzazione capace di centralizzare la direzione della lotta del proletariato e di trasformare quindi le organizzazioni operaie senza partito, di qualsiasi genere esse siano, in organi ausiliari e in cinghie di trasmissione che lo colleghino con la classe. Il partito é la forma suprema dell'organizzazione di classe del proletariato.

Questo non significa, s'intende, che le organizzazioni senza partito, i sindacati, le cooperative, ecc., debbano essere formalmente subordinate alla direzione del partito. La sola cosa che importa é che i membri del partito che fanno parte di queste organizzazioni e vi esercitano, senza dubbio, un'influenza, prendano tutte le misure di persuasione affinché le organizzazioni senza partito si avvicinino nel loro lavoro al partito del proletariato e accettino di buon grado la sua direzione politica.
Ecco perché Lenin dice che il partito é "la forma suprema dell'unione di classe dei proletari» e che la sua direzione politica deve estendersi a tutte le altre forme di organizzazione del proletariato (Lenin, «La malattia infantile», Vol. XXV, p. 194).
Ecco perché la teoria opportunista dell'«indipendenza » e «neutralità» delle organizzazioni senza partito, teoria che genera i parlamentari indipendenti e i giornalisti distaccati dal partito, i militanti sindacali gretti e i cooperatori imborghesiti, é assolutamente incompatibile con la teoria e con la pratica del leninismo.

4) Il partito, strumento della dittatura del proletariato. Il partito é la forma suprema di organizzazione del proletariato. Il partito é il fattore essenziale di direzione in seno alla classe dei proletari e tra le organizzazioni di questa classe. Ma da questo non deriva affatto che il partito si possa considerare come fine a sé, come forza sufficiente a sé stessa. Il partito non é solo la forma suprema dell'unione di classe dei proletari, esso é, in pari tempo, uno strumento nelle mani del proletariato, per la conquista della dittatura, quando questa non é ancora stata conquistata, per il consolidamento e l'estensione della dittatura, quando questa é già stata conquistata. Il partito non avrebbe potuto acquistare un'importanza così grande, né prevalere su tutte le altre forme di organizzazione del proletariato, se il proletariato non si fosse trovato davanti al problema del potere, se le condizioni esistenti nel periodo dell'imperialismo, l'inevitabilità delle guerre, l'esistenza della crisi, non avessero richiesto la concentrazione di tutte le forze del proletariato in un sol punto, l'accentramento in un sol punto di tutti i fili del movimento rivoluzionario, allo scopo di rovesciare la borghesia e conquistare la dittatura del proletariato. Il partito é necessario al proletariato prima di tutto come stato maggiore di combattimento, indispensabile per la conquista vittoriosa del potere. È superfluo dimostrare che senza un partito capace di raccogliere attorno a sé le organizzazioni di massa del proletariato e di centralizzare nel corso della lotta la direzione dell'assieme del movimento, il proletariato in Russia non avrebbe potuto instaurare la sua dittatura rivoluzionaria.

Ma il partito é necessario al proletariato non solo per la conquista della dittatura; ancor più esso gli é necessario per mantenere la dittatura, per consolidarla ed estenderla, nell'interesse della vittoria completa del socialismo.
"E' certo, - dice Lenin, - che ormai quasi tutti vedono che i bolscevichi non si sarebbero mantenuti al potere, non dico due anni e mezzo, ma nemmeno due mesi e mezzo, se non fosse esistita una disciplina severissima, veramente ferrea, nel nostro partito, se il partito non avesse avuto l'appoggio totale e pieno di abnegazione di tutta la massa della classe operaia, cioè di tutto quanto vi è in essa di pensante, di onesto, di devoto sino all'abnegazione, di influente e capace di condurre dietro a sé o attirare gli strati arretrati" (Lenin, "La malattia infantile", Vol. XXV, p. 173 ed. russa).

Ma che cosa significa «mantenere» ed «estendere» la dittatura? Significa infondere in masse di milioni di proletari lo spirito di disciplina e di organizzazione; significa creare nelle masse proletarie una coesione, una barriera contro le influenze deleterie del carattere piccolo-borghese e delle abitudini piccolo-borghesi; significa rafforzare il lavoro di organizzazione dei proletari per la rieducazione e la trasformazione degli strati piccolo-borghesi; significa aiutare le masse proletarie a educare sé stesse come forza capace di sopprimere le classi e di preparare le condizioni per l'organizzazione della produzione socialista. Ma realizzare tutto questo non é possibile senza un partito forte per la sua coesione e la sua disciplina.

" La dittatura del proletariato, - dice Lenin, - è una lotta tenace, cruenta e incruenta, violenta e pacifica, militare ed economica, pedagogica e amministrativa, contro le forze e le tradizioni della vecchia società. La forza dell'abitudine di milioni e decine di milioni di uomini è la più terribile delle forze. Senza un partito di ferro, temprato nella lotta, senza un partito che goda la fiducia di tutto quanto vi è di onesto nella sua classe, senza un partito che sappia osservare lo stato d'animo delle masse e influenzarlo, è impossibile condurre con successo una lotta simile» (lb., p. 190).
Il partito é necessario al proletariato per conquistare e mantenere la dittatura. Il partito é lo strumento della dittatura del proletariato. Da questo deriva che, con la scomparsa delle classi, con l'estinguersi della dittatura del proletariato, deve estinguersi anche il partito.

5) Il partito, unità di volontà, incompatibile con l'esistenza di frazioni. La conquista e il mantenimento della dittatura del proletariato non sono possibili senza un partito forte per la sua coesione e la sua disciplina di ferro. Ma una disciplina ferrea nel partito non é concepibile senza unità di volontà, senza una completa e assoluta unità di azione di tutti i membri del partito. Ciò non significa, naturalmente che in questo modo si escluda la possibilità di una lotta di opinioni in seno al partito. Al contrario, la disciplina ferrea non esclude, anzi presuppone la critica e la lotta di opinioni in seno al partito. A maggior ragione ciò non significa che la disciplina debba esser «cieca». AI contrario, la disciplina ferrea non esclude, anzi presuppone la coscienza e la volontarietà della sottomissione, perché solo una disciplina cosciente può essere effettivamente una disciplina ferrea. Ma finita la lotta di opinioni, esaurita la critica, presa una decisione, l'unità di volontà e l'unità di azione di tutti i membri del partito sono una condizione indispensabile, senza la quale non sono concepibili né un partito unito, né una disciplina ferrea nel partito.

«Nell'epoca attuale di guerra civile acuta, - dice Lenin, - il partito comunista potrà adempiere il suo dovere soltanto se sarà organizzato nel modo più centralizzato, se vi regnerà una disciplina ferrea, confinante con la disciplina militare, e se il centro del partito sarà un organo autorevole di potere, fornito di ampi poteri, che goda la fiducia generale dei membri del partito» (Lenin, «Condizioni d'ammissione nell'internazionale comunista», ib., pp. 282-283).
Così va intesa la disciplina del partito nelle condizioni di lotta anteriori alla conquista della dittatura.
Lo stesso si deve dire, ma in grado ancora maggiore, della disciplina del partito dopo la conquista della dittatura.
«Chi indebolisce, sia pur di poco, dice Lenin, - la disciplina ferrea del partito del proletariato (soprattutto durante la dittatura del proletariato) aiuta in realtà la borghesia contro il proletariato" («La malattia infantile», ib., p. 190).

Ne consegue che l'esistenza di frazioni non é compatibile né con l'unità del partito, né con la sua disciplina ferrea. Non occorre dimostrare che l'esistenza di frazioni porta all'esistenza di parecchi centri, che l'esistenza di parecchi centri significa la mancanza di un centro comune a tutto il partito, la rottura della volontà unica, il rilassamento e la disgregazione della disciplina, l'indebolimento e la decomposizione della dittatura. Certo, i partiti della II Internazionale, che lottano contro la dittatura del proletariato e non vogliono condurre i proletari al potere, possono permettersi un liberalismo come quello di dare libertà alle frazioni, perché essi non hanno affatto bisogno di una disciplina ferrea. Ma i partiti dell'Internazionale comunista, che organizzano il loro lavoro in considerazione dei compiti della conquista e del rafforzamento della dittatura del proletariato, non possono accettare né «liberalismo», né libertà di frazioni. Il partito é un'unità di volontà che esclude ogni frazionismo, ogni divisione di poteri nel partito.

Di qui i chiarimenti di Lenin circa il «pericolo del frazionismo dal punto di vista dell'unità del partito e della realizzazione dell'unità di volontà dell'avanguardia del proletariato, come condizione essenziale del successo della dittatura del proletariato», chiarimenti fissati in una risoluzione speciale del X Congresso del nostro partito: «Sull'unità del partito».
Di qui l'esigenza di Lenin circa «la soppressione completa di ogni frazionismo», e «lo scioglimento immediato di tutti, senza eccezione, i gruppi formatisi sulla base di questa o di quella piattaforma», sotto pena «d'immediata e incondizionata espulsione dal partito» (Si veda la risoluzione: «Sull'unità del partito»).

6) Il partito si rafforza, epurandosi dagli elementi opportunisti. Fonte del frazionismo nel partito sono i suoi elementi opportunisti. Il proletariato non é una classe chiusa in sé. Affluiscono verso di esso continuamente degli elementi, proletarizzati dallo sviluppo del capitalismo, provenienti dai contadini, dai piccolo borghesi, dagli intellettuali. Nello stesso tempo si svolge un processo di decomposizione degli strati superiori del proletariato, composti principalmente di funzionari sindacali e di parlamentari che la borghesia corrompe, servendosi dei sopraprofitti coloniali.
« Questo strato di operai imborghesiti, - dice Lenin, - quest'"aristocrazia operaia" completamente piccolo borghese per il suo genere di vita, per l'entità dei suoi guadagni, per tutta la sua concezione del mondo, è l'appoggio principale della II Internazionale e oggi costituisce il principale sostegno sociale (non militare) della borghesia. Si tratta infatti di veri agenti della borghesia nel movimento operaio, di commessi operai della classe dei capitalisti, di veri e propri veicoli del riformismo e dello sciovinismo» («L'imperialismo come fase suprema del capitalismo», Vol. XIX, p. 7 i ed. russa).

Tutti questi gruppi piccolo-borghesi penetrano in un modo o nell'altro nel partito, portandovi lo spirito dell'esitazione e dell'opportunismo, lo spirito della disgregazione e dell'incertezza. Essi sono pure la fonte principale del frazionismo e della disgregazione, la fonte della disorganizzazione e della demolizione del partito dall'interno. Fare la guerra all'imperialismo avendo alle spalle simili «alleati», significa trovarsi nella posizione di gente che é presa a fucilate da due parti: di fronte e alle spalle. Perciò la lotta spietata contro questi elementi, la loro espulsione dal partito, é condizione pregiudiziale del successo della lotta contro l'imperialismo.
La teoria del «superamento» degli elementi opportunisti mediante la lotta ideologica all'interno del partito, la teoria della «liquidazione» di questi elementi nel quadro di un unico partito, é una teoria putrida e pericolosa, che minaccia di condannare il partito alla paralisi e a un'infermità cronica, che minaccia di dare il partito in pasto all'opportunismo, che minaccia di lasciare il proletariato senza partito rivoluzionario, che minaccia di privare il proletariato dell'arma principale nella lotta contro l'imperialismo. Il nostro partito non avrebbe potuto prender la strada giusta, non avrebbe potuto conquistare il potere e organizzare la dittatura del proletariato, non sarebbe potuto uscir vittorioso dalla guerra civile, se avesse avuto nelle sue file dei Martov e dei Dan, dei Potressov e degli Axelrod. Se il nostro partito é riuscito a creare un'unità interna e una coesione senza pari delle proprie file, questo dipende prima di tutto dal fatto che ha saputo liberarsi a tempo del putridume opportunista, che ha saputo cacciare dal proprio seno i liquidatori e i menscevichi.

La via dello sviluppo e del consolidamento dei partiti proletari passa attraverso la loro epurazione dagli opportunisti e dai riformisti, dai social-imperialisti e dai social-sciovinisti, dai social-patrioti e dai social-pacifisti. Il partito si rafforza epurandosi dagli elementi opportunisti.
«Avendo nelle proprie file dei riformisti, dei menscevichi, - dice Lenin, - non si può far trionfare la rivoluzione proletaria, non si può difenderla. Questo è evidente dal punto di vista di principio. Questo è stato confermato luminosamente dall'esperienza della Russia e dell'Ungheria... In Russia, molte volte vi sono state delle situazioni difficili, nelle quali il regime sovietico sarebbe stato rovesciato di certo, se dei menscevichi, dei riformisti, dei democratici piccoloborghesi fossero rimasti in seno al nostro partito; ...in Italia, per riconoscimento generale, si avvicinano battaglie decisive del proletariato contro la borghesia, per la conquista del potere statale. In un momento simile, non solo è assolutamente indispensabile allontanare dal partito i menscevichi, i riformisti, i turatiani, ma può esser utile persino allontanare da tutti i posti di responsabilità anche degli eccellenti comunisti, che sono suscettibili di tentennare e manifestano delle esitazioni nel senso dell'"unità" coi riformisti... Alla vigilia della rivoluzione e nei momenti della lotta più accanita per la vittoria di essa, le minime esitazioni in seno al partito possono perdere tutto, possono far fallire la rivoluzione, strap
pare il potere dalle mani del proletariato, perché questo potere non è ancora solido, perché l'attacco contro di esso è ancora troppo forte. Se in un momento simile i capi tentennanti si tirano in disparte, questo non indebolisce, ma rafforza e il partito, e il movimento operaio, e la rivoluzione" (Lenin, «Falsi discorsi sulla libertà», Vol. XXV, pp. 462-434).
IX
LO STILE NEL LAVORO
Non si tratta dello stile letterario. Voglio parlare dello stile nel lavoro, di quell'elemento particolare e originale nella pratica del leninismo, che crea il tipo speciale del militante leninista. Il leninismo é una scuola teorica e pratica, la quale forma un tipo speciale di militante del partito e dello Stato, la quale crea -uno stile speciale di lavoro, uno stile leninista. In che cosa consistono i tratti caratteristici di questo stile? Quali sono le sue particolarità?
Queste particolarità sono due: a) lo slancio rivoluzionario russo e b) lo spirito pratico americano. Lo stile del leninismo consiste nell'unione di queste due particolarità nel lavoro di partito e di Stato.
Lo slancio rivoluzionario russo é un antidoto contro l'inerzia, la spirito abitudinario e di conservazione, la stagnazione del pensiero, la sottomissione servile alle tradizioni degli avi. Lo slancio rivoluzionario russo é una forza vivificatrice, che sprona il pensiero, che spinge in avanti, che distrugge il passato, che dà una prospettiva. Senza di esso non é possibile nessun movimento in avanti. Ma v'é ogni probabilità che esso degeneri, all'atto pratico, in un vuoto manilovismo «rivoluzionario», se non lo si unisce, nel lavoro, con lo spirito pratico americano.
Esempi di una degenerazione simile ce ne sono a bizzeffe. Chi non conosce la malattia del miracolismo "rivoluzionario", della pianomania "rivoluzionaria", che traggono origine dalla fede cieca nella forza di un decreto, capace di tutto disporre, di tutto trasformare? Uno scrittore russo, I. Ehrenburg, ha descritto, nel suo racconta « Uscomcel» (« L'uomo comunista perfetto »), il tipo di un « bolscevico » che, preso da questa malattia, si é posto il compito di fare lo schema dell'uomo idealmente perfetto e ... e s'é «annegato» in questo «lavoro». Nel racconto v'é molto di esagerato, ma non v'é dubbio che la malattia vi é ben colta. Mi pare però che nessuno abbia saputo schernire questo genere di malattia in modo così crudele e implacabile come Lenin. «Presunzione comunista» - così egli bollava questa fede morbosa nei progetti miracolosi e nella fabbrica di decreti.
«La presunzione comunista, - dice Lenin, - significa che un individuo che si trova nel partito comunista e non ne è ancora stato espulso, immagina di poter assolvere tutti i suoi compiti a colpi di decreti comunisti» (Lenin, «La Nep e i compiti delle organizzazioni di educazione politica», Vol. XXVII, pp. 50-51).
Alle chiacchiere «rivoluzionarie», Lenin era solito contrapporre cose semplici e di ogni giorno, sottolineando in questo modo che il miracolismo «rivoluzionario» é contrario allo spirito e alla lettera del vero leninismo.
" Meno frasi pompose, - dice Lenin, - più lavoro concreto, quotidiano... Meno cicaleccio politico, più attenzione ai fatti più semplici, ma vivi... dell'edificazione comunista..." (Lenin, «Una grande iniziativa», Vol. XXIV, pp. 343 e 335).

Lo spirito pratico americano é invece l'antidoto contro il manilovismo «rivoluzionario» e contro il miracolismo fantastico. Lo spirito pratico americano é una forza indomabile, che non sa e non riconosce nessuna barriera, che rimuove con la sua tenacia pratica ogni sorta di ostacoli, che, una volta incominciato un lavoro, anche piccolo, non può non portarlo a termine, una forza senza la quale é inconcepibile un serio lavoro costruttivo.
Ma lo spirito pratico americano ha tutte le probabilità di degenerare in un affarismo gretto e senza principii se non lo si unisce con lo slancio rivoluzionario russo. Chi non conosce la malattia del praticismo ristretto e dell'affarismo senza principii, che porta non di rado certi «bolscevichi» alla degenerazione e all'abbandono della causa della rivoluzione? Questa malattia particolare é stata descritta in un racconto di Pilniak: «La fame», in cui sono rappresentati dei tipi di «bolscevichi» russi pieni di volontà e di decisione pratica, che «funzionano» molto «energicamente», ma non hanno prospettive, ignorano «il perché e il come» e perciò smarriscono la via del lavoro rivoluzionario.

Nessuno ha schernito in modo così caustico come Lenin questa malattia dell'affarismo. «Praticismo gretto» e «affarismo senza testa», così Lenin bollava questa malattia. Egli le contrapponeva di solito l'attività rivoluzionaria vivente e la necessità di avere delle prospettive rivoluzionarie in tutte le cose del nostro lavoro quotidiano, sottolineando in questo modo che l'affarismo senza principii é altrettanto contrario al vero leninismo, quanto lo é il miracolismo «rivoluzionario».

Unione dello slancio rivoluzionario russo con lo spirito pratico americano: tale é l'essenza del leninismo nel lavoro di partito e di Stato.
Solo quest'unione ci dà il tipo completo del militante leninista, lo stile del leninismo nel lavoro".
Stalin - Università Sverdlov. Aprile 1924

Per questioni di spazio ho tralasciato il cap V "La questione contadina". L'intera opera è consultabile su:
http://www.bibliotecamarxista.org/stalin/prindellen.htm
 
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