Principi del Leninismo, parte 1

"Dei Principi del Leninismo"



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STALIN
Lezioni tenute all'Università Sverdlov nella prima settimana dell'aprile 1924

PREMESSA - I PRINCIPI DEL LENINISMO

" I principii del leninismo: vasto argomento. Occorrerebbe un libro intero per esaurirlo. Anzi, occorrerebbe una serie di libri. È naturale, quindi, che le mie lezioni non potranno essere un'esposizione esauriente del leninismo. Nel migliore dei casi, potranno essere soltanto un riassunto conciso dei principii del leninismo. Ciononostante, ritengo utile fare questo riassunto per fissare alcuni punti di partenza fondamentali, indispensabili per uno studio proficuo del leninismo.
Esporre i principii del leninismo, non vuol ancora dire esporre i principii della concezione del mondo di Lenin. La concezione del mondo di Lenin e i principii del leninismo non sono, per l'ampiezza, la stessa cosa. Lenin é un marxista e la base della sua concezione del mondo é, naturalmente, il marxismo. Ma da questo non deriva affatto che una esposizione del leninismo debba partire dall'esposizione dei principii del marxismo. Esporre il leninismo significa esporre ciò che vi é di particolare e di nuovo nell'opera di Lenin, ciò che Lenin ha apportato al tesoro comune del marxismo e che naturalmente é legato al suo nome. Soltanto in questo senso parlerò nelle mie lezioni dei principii del leninismo.

Dunque, che cosa è il leninismo?
Gli uni dicono che il leninismo è l'applicazione del marxismo alle condizioni originali della situazione russa. In questa definizione vi è una parte di verità, ma essa é ben lontana dal contenere tutta la verità. Lenin ha effettivamente applicato il marxismo alla situazione russa e l'ha applicato in modo magistrale. Ma se il leninismo non fosse che l'applicazione del marxismo alla situazione originale della Russia, sarebbe un fenomeno puramente nazionale e soltanto nazionale, puramente russo e soltanto russo. Invece noi sappiamo che il leninismo é un fenomeno internazionale, che ha le sue radici in tutta l'evoluzione internazionale e non soltanto un fenomeno russo. Ecco perché penso che questa definizione pecca di unilateralità.

Altri dicono che il leninismo é la rinascita degli elementi rivoluzionari del marxismo del decennio 1840-1850, per distinguerlo dal marxismo degli anni successivi, divenuto, a loro avviso, moderato, non più rivoluzionario. A prescindere dalla sciocca e banale divisione della dottrina di Marx in due parti, una rivoluzionaria e una moderata, bisogna riconoscere che anche questa definizione, del tutto insufficiente e insoddisfacente, contiene una parte di verità. Questa parte di verità consiste nel fatto che Lenin ha effettivamente risuscitato il contenuto rivoluzionario del marxismo, ch'era stato sotterrato dagli opportunisti della II Internazionale. Ma questa non é che una parte della verità. La verità intera é che il leninismo non solo ha risuscitato il marxismo, ma ha fatto ancora un passo avanti, sviluppando ulteriormente il marxismo nelle nuove condizioni del capitalismo e della lotta di classe del proletariato.

Che cosa é dunque, in ultima analisi, il leninismo?
Il leninismo é il marxismo dell'epoca dell'imperialismo e della rivoluzione proletaria. Più esattamente: il leninismo é la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria in generale, la teoria e la tattica della dittatura del proletariato in particolare. Marx ed Engels militarono nel periodo prerivoluzionario (ci riferiamo alla rivoluzione proletaria), quando l'imperialismo non si era ancora sviluppato, nel periodo di preparazione dei proletari alla rivoluzione, nel periodo in cui la rivoluzione proletaria non era ancora diventata una necessità pratica immediata. Lenin invece, discepolo di Marx e di Engels, militò nel periodo di pieno sviluppo dell'imperialismo, nel periodo dello scatenamento della rivoluzione proletaria, quando la rivoluzione proletaria aveva già trionfato in un paese, aveva distrutto la democrazia borghese e aperto l'éra della democrazia proletaria, l'éra dei Soviet.

Ecco perché il leninismo é lo sviluppo ulteriore del marxismo.
Si mette spesso in rilievo il carattere straordinariamente combattivo, straordinariamente rivoluzionario del leninismo. Ciò é del tutto giusto. Ma questa caratteristica del leninismo si spiega con due motivi: in primo luogo, col fatto che il leninismo é sorto dalla rivoluzione proletaria, e non può non portarne l'impronta; in secondo luogo, col fatto che esso é cresciuto e si é rafforzato nella lotta contro l'opportunismo della II Internazionale, lotta che fu ed é condizione necessaria preliminare per il successo della lotta contro il capitalismo. Non bisogna dimenticare che fra Marx ed Engels da una parte, e Lenin dall'altra, si stende un intero periodo di dominio incontrastato dell'opportunismo della Il Internazionale. La lotta spietata contro l'opportunismo non poteva non essere uno dei compiti più importanti del leninismo.













I
LE RADICI STORICHE DEL LENINISMO

Il leninismo sorse e si formò nelle condizioni esistenti nel periodo dell'imperialismo, quando le contraddizioni del capitalismo erano giunte al punto più alto, quando la rivoluzione proletaria era diventata. un problema pratico immediato, quando il precedente periodo di preparazione della classe operaia alla rivoluzione si era chiuso, e si era entrati nel nuovo periodo dell'assalto diretto al capitalismo.
Lenin chiamava l'imperialismo «capitalismo morente». Perché? Perché l'imperialismo porta le contraddizioni del capitalismo all'ultimo termine, ai limiti estremi, oltre i quali comincia la rivoluzione.
Di queste contraddizioni, tre devono essere considerate come le più importanti.
La prima contraddizione é la contraddizione tra il lavoro e il capitale. L'imperialismo é l'onnipotenza, nei paesi industriali, dei trust e dei sindacati monopolisti, delle banche e dell'oligarchia finanziaria Nella lotta contro questa onnipotenza, i metodi abituali della classe operaia, - sindacati e cooperative, partiti parlamentari e lotta parlamentare, - si son rivelati assolutamente insufficienti. O abbandonarsi alla mercé del capitale, vegetare all'antica e scendere sempre più in basso, o impugnare una nuova arma: così l'imperialismo pone il problema alle masse innumerevoli del proletariato. L'imperialismo avvicina la classe operaia alla rivoluzione.
La seconda contraddizione é la contraddizione fra i diversi gruppi finanziari e le diverse potenze imperialiste nella loro lotta per le fonti di materie prime e per i territori altrui. L'imperialismo é esportazione di capitale verso le fonti di materie prime, lotta accanita per il possesso esclusivo di queste fonti, lotta per una nuova spartizione del mondo già diviso, lotta che viene condotta con particolare asprezza, dai gruppi finanziari nuovi e dalle potenze in cerca di un "posto al sole», contro i vecchi gruppi e le potenze che non vogliono a nessun costo abbandonare il bottino. Questa lotta accanita tra diversi gruppi di capitalisti é degna di nota perché racchiude in sé, come elemento inevitabile, le guerre imperialiste, le guerre per la conquista di territori altrui. Questa circostanza, a sua volta, é degna di nota perché porta all'indebolimento reciproco degl'imperialisti, all'indebolimento della posizioni del capitalismo in generale, perché avvicina il momento della rivoluzione proletaria, perché rende praticamente necessaria questa rivoluzione.

La terza contraddizione é la contraddizione tra un pugno di nazioni «civili» dominanti e centinaia di milioni di uomini appartenenti ai popoli coloniali e dipendenti del mondo. L'imperialismo é lo sfruttamento più spudorato, l'oppressione più inumana di centinaia di milioni di abitanti degli immensi paesi coloniali e dipendenti. Spremere dei sopraprofitti: ecco lo scopo di questo sfruttamento e di questa oppressione. Ma per sfruttare questi paesi l'imperialismo é costretto a costruirvi delle ferrovie, delle fabbriche, delle officine, a crearvi , dei centri industriali e commerciali. L'apparire di una classe di proletari, il sorgere di uno strato di intellettuali indigeni, il risveglio di una coscienza nazionale, il rafforzarsi del movimento per l'indipendenza: tali sono gli effetti inevitabili di questa «politica». L'incremento dei movimento rivoluzionario in tutte le colonie e in tutti i paesi dipendenti, senza eccezione, ne fornisce la prova evidente. Questa circostanza é importante per il proletariato perché mina alle radici le posizioni del capitalismo, trasformando le colonie e i paesi dipendenti da riserve dell'imperialismo in riserve della rivoluzione proletaria.
Tali sono, in generale, le principali contraddizioni dell'imperialismo, che hanno trasformato il «florido» capitalismo di una volta in capitalismo morente.

L'importanza della guerra imperialista, scatenatasi dieci anni fa; consiste, tra l'altro, nel fatto che essa ha raccolto in un sol fascio tutte queste contraddizioni e le ha gettate sul piatto della bilancia, accelerando e facilitando le battaglie rivoluzionarie del proletariato.
L'imperialismo, in altri termini, non solo ha fatto sì che la rivoluzione proletaria é diventata una necessità pratica, ma ha pure creato le condizioni favorevoli per l'assalto diretto alle fortezze del capitalismo.
Tale é la situazione internazionale che ha generato il leninismo.
Tutto ciò va benissimo, si dirà; ma che c'entra la Russia, la quale certo non era e non poteva essere il paese classico dell'imperialismo? Che c'entra Lenin, il quale ha lavorato soprattutto in Russia e per la Russia? Perché mai proprio la Russia é diventata il focolaio del leninismo, la patria della teoria e della pratica della rivoluzione proletaria?
Per il fatto che la Russia era il punto nodale di tutte queste contraddizioni dell'imperialismo.
Per il fatto che la Russia era, più di qualsiasi altro paese, gravida di rivoluzione, e perciò essa soltanto era in grado di risolvere queste contraddizioni per via rivoluzionaria.

Innanzi tutto, la Russia zarista era un focolaio di ogni genere di oppressione, - e capitalistica, e coloniale, e militare, - esercitata nella forma più barbara e più inumana. Chi non sa che in Russia l'onnipotenza del capitale si fondeva col potere dispotico dello zarismo, l'aggressività del nazionalismo russo con la ferocia dello zarismo verso i popoli non russi, lo sfruttamento di intere regioni, - della Turchia, della Persia, della Cina, - con la conquista di queste regioni da parte dello zarismo, con le guerre volte a conquistarle? Lenin aveva ragione di dire che lo zarismo era un «imperialismo feudale militare». Lo zarismo concentrava in sé i lati più negativi dell'imperialismo, elevati al quadrato.

E non basta. La Russia zarista era un'immensa riserva dell'imperialismo occidentale non soltanto nel senso che dava libero accesso al capitale straniero, il quale teneva in pugno settori decisivi dell'economia russa, come i combustibili e la metallurgia, ma anche nel senso che poteva mettere al servizio degl'imperialisti dell'Occidente milioni di soldati. Ricordate l'esercito russo di dodici milioni di uomini, che ha versato il suo sangue sui fronti della guerra imperialista per assicurare favolosi profitti ai capitalisti anglo-francesi.
Ancora. Lo zarismo non era soltanto il cane da guardia dell'imperialismo nell'Europa orientale, era anche un'agenzia dell'imperialismo occidentale per estorcere alla popolazione centinaia di milioni pel pagamento degli interessi dei prestiti che gli erano stati concessi a Parigi, a Londra, a Berlino e a Bruxelles.

Infine, lo zarismo era l'alleato più fedele dell'imperialismo occidentale nella spartizione della Turchia, della Persia, della Cina, ecc. Chi non sa che la guerra imperialista é stata condotta dallo zarismo in unione con gli imperialisti dell'Intesa, che la Russia é stata un elemento essenziale di questa guerra?
Ecco perché gli interessi dello zarismo e dell'imperialismo occidentale si intrecciavano e si fondevano, in ultima analisi, nell'unico gomitolo degli interessi dell'imperialismo. Poteva l'imperialismo occidentale rassegnarsi alla perdita di un così potente appoggio in Oriente e di un così ricco serbatoio di forze e di mezzi, quale era la vecchia Russia zarista e borghese, senza impegnare tutte le proprie forze per condurre una lotta a morte contro la rivoluzione in Russia, allo scopo di difendere e conservare lo zarismo? Evidentemente, non poteva!

Ma da questo deriva che chiunque voleva battere lo zarismo inevitabilmente alzava la mano contro l'imperialismo, chiunque insorgeva contro lo zarismo doveva insorgere anche contro l'imperialismo, poiché chi voleva rovesciare lo zarismo doveva abbattere anche l'imperialismo, se voleva realmente non solo vincere lo zarismo, ma debellarlo definitivamente. La rivoluzione contro lo zarismo si collegava, perciò, alla rivoluzione contro l'imperialismo e doveva trasformarsi in rivoluzione proletaria.
In Russia si scatenava pertanto la più grande rivoluzione popolare, a capo della quale si trovava il proletariato più rivoluzionario del mondo, che disponeva di un alleato dell'importanza dei contadini rivoluzionari della Russia. Vi é bisogno di dimostrare che tale rivoluzione non poteva fermarsi a mezza strada, che in caso di successo essa doveva procedere oltre, innalzando la bandiera dell'insurrezione contro l'imperialismo?

Ecco perché la Russia doveva diventare il punto nodale delle contraddizioni dell'imperialismo, non solo nel senso che queste contraddizioni si rivelavano proprio in Russia più che in ogni altro paese, per il loro carattere particolarmente scandaloso e particolarmente intollerabile, e non solo perché la Russia era il punto d'appoggio principale dell'imperialismo d'Occidente, costituendo un legame tra il capitale finanziario dell'Occidente e le colonie dell'Oriente, ma anche perché solo in Russia esisteva una forza reale, capace di risolvere le contraddizioni dell'imperialismo per via rivoluzionaria.
Ma da questo deriva che la rivoluzione, in Russia, non poteva non diventare proletaria, che essa non poteva non prendere fin dai primi giorni del suo sviluppo un carattere internazionale, che essa non poteva quindi non scuotere le basi stesse dell'imperialismo mondiale.

Potevano i comunisti russi, in questa situazione, contenere il loro lavoro nel quadro strettamente nazionale della rivoluzione russa? Evidentemente no! Al contrario, tutta la situazione, tanto interna (profonda crisi rivoluzionaria), quanto esterna (guerra), li spingeva a uscire, nel corso del loro lavoro, da questo quadro, a trasportare la lotta sull'arena internazionale, a mettere a nudo le piaghe dell'imperialismo, a dimostrare l'ineluttabilità della catastrofe del capitalismo, a battere il social-sciovinismo e il social-pacifismo e, infine, ad abbattere il capitalismo nel proprio paese e a forgiare per il proletariato una nuova arma di lotta, - la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria, allo scopo di facilitare ai proletari di tutti i paesi il compito dell'abbattimento del capitalismo. I comunisti russi non potevano, del resto, agire in altro modo, poiché solo seguendo questa via si poteva contare su alcune modificazioni della situazione internazionale, atte a garantire la Russia dalla restaurazione del regime borghese.
Ecco perché la Russia é diventata il focolaio del leninismo, e il capo dei comunisti russi, Lenin, ne é diventato il creatore.

Per la Russia e per Lenin «é avvenuto» qualche cosa di simile a quel che, tra il 1840 e il 1850, «era avvenuto» per la Germania e per Marx ed Engels. Come la Russia al principio del secolo XX, la Germania era allora gravida della rivoluzione borghese. Nel «Manifesto dei Comunisti», Marx scriveva allora che:
«Sulla Germania rivolgono i comunisti specialmente la loro attenzione, perché la Germania é alla vigilia della rivoluzione borghese, e perché essa compie tale rivoluzione in condizioni di civiltà generale europea più progredite e con un proletariato molto più sviluppato che non avessero l'Inghilterra nel secolo XVII e la Francia nel XVIII; per cui la rivoluzione borghese tedesca non può essere che l'immediato preludio di una rivoluzione proletaria».

In altri termini, il centro del movimento rivoluzionario si spostava verso la Germania.
Non vi può esser dubbio che appunto questa circostanza, segnalata da Marx nel passo sopra riportato, fu probabilmente la causa per cui appunto la Germania fu la patria del socialismo scientifico e i capi del proletariato tedesco, - Marx ed Engels, - ne furono i creatori.
Lo stesso, ma in misura ancora maggiore, si deve dire della Russia dell'inizio del secolo XX. La Russia si trovava in questo periodo alla vigilia di una rivoluzione borghese; ma doveva compiere questa rivoluzione quando le condizioni dell'Europa erano più progredite, il proletariato più sviluppato che nel caso della Germania (senza parlare dell'Inghilterra e della Francia) e tutti i dati indicavano che questa rivoluzione sarebbe stata il lievito e il preludio della rivoluzione proletaria. Non si può reputare accidentale il fatto che già nel 1902, quando la rivoluzione russa era soltanto all'inizio, Lenin scrivesse nel suo opuscolo «Che fare?» queste parole profetiche:
«La storia pone oggi a noi (cioè ai marxisti russi. G. St.) un compito immediato, il più rivoluzionario di tutti i compiti immediati del proletariato di qualsiasi altro paese»... "L'adempimento di questo compito, la distruzione del baluardo più potente della reazione non soltanto europea, ma anche asiatica, farebbe del proletariato russo l'avanguardia del proletariato rivoluzionario internazionale" ,(Vol. IV, p. 382 ed. russa).
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In altri termini, il centro del movimento rivoluzionario doveva spostarsi verso la Russia.
È noto che il corso della rivoluzione in Russia ha più che confermato questa predizione di Lenin.
C'é dunque da meravigliarsi che un paese, il quale ha fatto una tale rivoluzione ed ha un tale proletariato, sia stato la patria della teoria e della tattica della rivoluzione proletaria?
C'é da meravigliarsi che il capo di questo proletariato, Lenin, sia diventato in pari tempo il creatore di questa teoria e di questa tattica e il capo del proletariato internazionale?

IL METODO
Ho già detto che fra Marx ed Engels da una parte e Lenin dall'altra, si stende tutto il periodo del dominio dell'opportunismo della II Internazionale. Aggiungerò, per precisare, che non si tratta di un dominio formale dell'opportunismo, bensì di un dominio di fatto. Formalmente, a capo della II Internazionale vi erano dei marxisti «ortodossi», come Kautsky ed altri. In realtà, però, l'attività fondamentale della II Internazionale si svolgeva sulla linea dell'opportunismo. Gli opportunisti si adattavano alla borghesia in virtù della loro natura adattabile, piccolo-borghese; gli «ortodossi», a loro volta, si adattavano agli opportunisti nell'interesse del «mantenimento dell'unità» con gli opportunisti, nell'interesse della «pace nel partito». Il risultato era il dominio dell'opportunismo, poiché si creava tra la politica della borghesia e la politica degli «ortodossi» una catena ininterrotta.

Si era in un periodo di sviluppo relativamente pacifico del capitalismo, in un periodo, per così dire, di anteguerra, in cui le contraddizioni catastrofiche dell'imperialismo non erano ancora arrivate a manifestarsi in tutta la loro evidenza, gli scioperi economici degli operai e i sindacati si sviluppavano più o meno «normalmente», la lotta elettorale e i gruppi parlamentari riportavano successi «da far girar la testa», le forme legali di lotta erano portate alle stelle e si pensava di poter «uccidere» il capitalismo con la legalità, - in un periodo, insomma, in cui i partiti della II Internazionale s'imbastardivano e non si voleva pensare seriamente alla rivoluzione, alla dittatura del proletariato, all'educazione rivoluzionaria delle masse.

Invece di una teoria rivoluzionaria coerente, - affermazioni teoriche contraddittorie e frammenti di teoria, staccati dalla lotta rivoluzionaria vivente delle masse e trasformatisi in dogmi rinsecchiti. Per salvare le apparenze, certo, ci si richiamava alla teoria di Marx, ma per spogliarla del suo vivente spirito rivoluzionario.
Invece di una politica rivoluzionaria, - filisteismo smidollato e politicantismo gretto, diplomazia parlamentare e combinazioni parlamentari. Per salvare le apparenze, certo, si approvavano risoluzioni e parole d'ordine «rivoluzionarie», ma per passarle agli archivi.
Invece di educare e istruire il partito nella giusta tattica rivoluzionaria sulla base dell'esperienza dei suoi propri errori, si eludevano accuratamente, si mascheravano e si mettevano in disparte le questioni spinose. Per salvare le apparenze, certo, non ci si esimeva dal parlarne, ma per concludere l'affare con una qualsiasi risoluzione «di caucciù».
Tali erano la fisionomia, il metodo di lavoro e l'arsenale della II Internazionale.

Frattanto si avvicinava un nuovo periodo di guerre imperialiste e di battaglie rivoluzionarie del proletariato. I vecchi metodi di lotta si rivelavano manifestamente insufficienti, impotenti, di fronte all'onnipotenza dal capitale finanziario.
Era necessario rivedere tutto il lavoro della II Internazionale, tutto il suo metodo di lavoro, dare il bando al filisteismo, alla ristrettezza mentale, al politicantismo, al tradimento, al social-sciovinismo, al social-pacifismo. Era necessario verificare tutto l'arsenale della, II Internazionale, buttare via tutto quel che vi era di arrugginito e di antiquato, forgiare nuove sorta di armi. Senza questo lavoro preliminare era inutile partire in guerra contro il capitalismo. Senza questo lavoro il proletariato rischiava di trovarsi, di fronte alle nuove battaglie rivoluzionarie, insufficientemente armato, o addirittura del tutto disarmato.
L'onore di questa revisione generale, di questa ripulitura generale delle stalle d'Augia della II Internazionale, é toccato al leninismo.
Ecco in quale situazione é sorto e si é forgiato il metodo del leninismo.

A che cosa si riducono le esigenze di questo metodo?
Innanzi tutto, alla verifica dei dogmi teorici della II Internazionale nel fuoco della lotta rivoluzionaria delle masse, nel fuoco della pratica vivente, cioè al ristabilimento della perduta unità fra la teoria e la pratica, alla eliminazione della rottura tra di esse, poiché solo così si può formare un partito veramente proletario, armato di una teoria rivoluzionaria.
In secondo luogo, alla verifica della politica dei partiti della II Internazionale, partendo non dalle loro parole d'ordine e dalle loro risoluzioni (a cui non si può prestar fede), bensì dai loro atti, dalle loro azioni, poiché solo così si può conquistare e meritare la fiducia delle masse proletarie.
In terzo luogo, alla riorganizzazione di tutto il lavoro del partito per dargli una nuova impronta rivoluzionaria, nel senso dell'educazione e della preparazione delle masse alla lotta rivoluzionaria, poiché solo così si possono preparare le masse alla rivoluzione proletaria.
In quarto luogo, all'autocritica dei partiti proletari, alla loro educazione e istruzione partendo dall'esperienza dei loro propri errori, poiché solo così si possono formare dei veri quadri e dei veri dirigenti del partito.
Queste sono le basi, questa é l'essenza del metodo del leninismo.

Come é stato applicato in pratica questo metodo?
- Gli opportunisti della II Internazionale professano una serie di dogmi teorici, che ripetono come il rosario. Vediamone alcuni.
* * Dogma primo: circa le condizioni della presa del potere da parte del proletariato. Gli opportunisti asseriscono che il proletariato non può e non deve prendere il potere se non é maggioranza nel paese. Prove non ne danno, non essendo possibile, né dal punto di vista teorico, né dal punto di vista pratico, giustificare questa tesi assurda. Ammettiamo che sia vero, risponde Lenin a quei signori della II Internazionale. Ma ove si produca una situazione storica (guerra, crisi agraria, ecc.) in cui il proletariato, pur essendo la minoranza della popolazione, abbia la possibilità di raggruppare attorno a sé l'enorme maggioranza delle masse lavoratrici, perché esso non dovrebbe prendere il potere? Perché il proletariato non dovrebbe approfittare della situazione internazionale e interna favorevole per spezzare il fronte del capitale e affrettare il crollo generale? Non ha forse detto Marx, sin dal 1850, che la rivoluzione proletaria tedesca si sarebbe trovata in «eccellenti» condizioni, se fosse stato possibile assicurare alla rivoluzione proletaria l'appoggio «per così dire, di una seconda edizione della guerra dei contadini»? Non é forse noto a tutti che a quell'epoca, in Germania, i proletari erano relativamente meno numerosi che, per esempio, in Russia nel 1917? La pratica della rivoluzione proletaria russa non ha forse dimostrato che questo dogma, caro agli eroi della II Internazionale, é privo di ogni significato vitale per il proletariato? Non é forse chiaro che l'esperienza della lotta rivoluzionaria delle masse batte in breccia e fa a pezzi questo dogma rinsecchito?

* * Dogma secondo: il proletariato non può conservare il potere, se non possiede una quantità sufficiente di quadri già pronti di intellettuali e di amministratori, capaci di assicurare la gestione del paese. Prima bisogna formare questi quadri sotto il capitalismo e in seguito prendere il potere. Ammettiamo che sia vero, risponde Lenin; ma perché non si può procedere in senso opposto: incominciare a prendere il potere, creare le condizioni favorevoli allo sviluppo del proletariato, e poi andare avanti, con gli stivali delle sette leghe, per elevare il livello culturale delle masse lavoratrici, per formare numerosi quadri di dirigenti e amministratori reclutati fra gli operai? La pratica russa non ha forse dimostrato che i quadri dirigenti reclutati fra gli operai crescono sotto il potere proletario cento volte più rapidamente e meglio che sotto il potere del capitale? Non é forse chiaro che la pratica della lotta rivoluzionaria delle masse manda spietatamente in pezzi anche questo dogma teorico degli opportunisti?

* * Dogma terzo: il metodo dello sciopero generale politico non può essere accettato dal proletariato, perché teoricamente é inconsistente (si veda la critica di Engels), praticamente é pericoloso (può turbare il corso normale della vita economica del paese, può vuotare le casse dei sindacati) e non può sostituire le forme di lotta parlamentari, che sono la forma principale della lotta di classe del proletariato. Bene, rispondono i leninisti. Ma, innanzi tutto, Engels non ha criticato qualsiasi sciopero generale, ma solo una specie determinata di sciopero generale, lo sciopero generale economico degli anarchici, preconizzato dagli anarchici in luogo della lotta politica -del proletariato. Che c'entra il metodo dello sciopero generale politico? In secondo luogo, da chi e dove é stato provato che la lotta parlamentare sia la principale forma di lotta del proletariato? La storia del movimento rivoluzionario non dimostra forse che la lotta parlamentare é soltanto una scuola, un ausilio per l'organizzazione della lotta extraparlamentare del proletariato, che le questioni fondamentali del movimento operaio in regime capitalistico si risolvono con la forza, con la lotta diretta delle masse proletarie, con lo sciopero generale, con l'insurrezione? In terzo luogo, dove é stata presa la questione della sostituzione alla lotta parlamentare del metodo dello sciopero generale politico? Dove e quando gli assertori dello sciopero generale politico hanno tentato di sostituire alle forme parlamentari di lotta le forme di lotta extraparlamentari? In quarto luogo, la rivoluzione russa non ha forse dimostrato che lo sciopero generale politico é la più grande scuola della rivoluzione proletaria e un mezzo insostituibile di mobilitazione e di organizzazione delle più grandi masse del proletariato alla vigilia dell'assalto alle fortezze del capitalismo? Cosa c'entrano i lamenti ipocriti sulla disorganizzazione del corso normale della vita economica e sulle casse dei sindacati? Non é forse chiaro che la pratica della lotta rivoluzionaria distrugge anche questo dogma degli opportunisti? Ecc. ecc.

Ecco perché Lenin diceva che «la teoria rivoluzionaria non é un dogma», che «essa si forma definitivamente solo in stretto rapporto con la pratica di un movimento veramente rivoluzionario e veramente di massa» (in «La malattia infantile»), perché la teoria deve servire alla pratica, perché «la teoria deve rispondere alle questioni poste dalla pratica» (in «Gli amici del popolo»), perché essa deve venir confermata dai dati della pratica.
Quanto alle parole d'ordine politiche e alle decisioni politiche dei partiti della II Internazionale, basta ricordare ciò che é capitato alla parola d'ordine "guerra alla guerra", per comprendere tutta l'ipocrisia, tutto il putridume della pratica politica di questi partiti, che ammantano la loro attività controrivoluzionaria di parole d'ordine e di risoluzioni rivoluzionarie pompose. Tutti ricordano la pomposa manifestazione della II Internazionale al Congresso di Basilea, in cui gl'imperialisti furono minacciati di tutti gli orrori dell'insurrezione se avessero osato scatenare la guerra, e venne formulata la minacciosa parola d'ordine: «Guerra alla guerra». Ma chi non ricorda che qualche tempo dopo, allo scoppio della guerra, la risoluzione di Basilea fu passata agli archivi e agli operai si dette una nuova parola d'ordine: massacrarsi a vicenda per la gloria della patria capitalista?

Non é forse chiaro che le parole d'ordine e le risoluzioni rivoluzionarie non valgono un quattrino se non sono corroborate dall'azione? Basta paragonare la politica leninista di trasformazione della guerra imperialista in guerra civile alla politica di tradimento seguita dalla Il Internazionale durante la guerra, per comprendere tutta la trivialità dei politicanti dell'opportunismo, tutta la grandezza del metodo leninista. Non posso fare a meno di riportare qui un passo del libro di Lenin «La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky», in cui egli sferza duramente il tentativo opportunista del capo della II Internazionale K. Kautsky di giudicare i partiti non dalle loro azioni, ma dalle loro parole d'ordine e dai loro documenti di carta:
«Kautsky fa una politica tipicamente piccolo-borghese, filistea, quando s'immagina ... che il fatto di lanciare una parola d'ordine cambi la realtà. Tutta la storia della democrazia borghese mette a nudo questa illusione: per ingannare il popolo, i democratici borghesi hanno sempre lanciato e sempre lanciano ogni sorta di "parole d'ordine". Si tratta di controllare la loro sincerità, di mettere a confronto le parole con i fatti, di non appagarsi della frase idealistica o ciarlatanesca, ma di cercar di scoprire la realtà di classe» (Vol. XXIII, p. 377 ed. russa).
E non parlo della paura dell'autocritica, che é propria dei partiti della II Internazionale, della loro abitudine di nascondere i propri errori, di mettere a tacere le questioni spinose, di nascondere le proprie deficienze, dando falsamente a intendere che tutto va per il meglio, il che soffoca il pensiero vivo e intralcia l'educazione rivoluzionaria del partito sulla base dell'esperienza dei suoi propri errori. Lenin ha posto in ridicolo e messo alla gogna questa abitudine. Ecco che cosa scriveva Lenin nel suo opuscolo «La malattia infantile» a proposito dell'autocritica dei partiti proletari:
«L'atteggiamento di un partito politico verso i suoi errori è uno dei criteri più importanti e più sicuri per giudicare se un partito è serio, se adempie di fatto i suoi doveri verso la propria classe e verso le masse lavoratrici. Riconoscere apertamente un errore, scoprirne le cause, analizzare la situazione che lo ha generato, studiare attentamente i mezzi per correggerlo: questo è indizio della serietà di un partito; questo si chiama adempiere il proprio dovere, educare e istruire la classe, e, quindi, le masse" (Vol. XXV, p. 200 ed. russa.)

Taluni dicono che lo svelare i propri errori e l'autocritica sono cose pericolose per il partito, perché possono essere utilizzate dall'avversario contro il partito del proletariato. Lenin considerava prive di serietà e completamente sbagliate simili obiezioni. Ecco che cosa egli diceva a questo proposito, già nel 1904, nell'opuscolo «Un passo avanti», quando il nostro partito era ancora debole e poco numeroso:
«Essi (cioè gli avversari dei marxisti. G. St.) si agitano e manifestano una gioia maligna quando osservano le nostre discussioni; essi tenteranno certamente di servirsi per i loro fini di passi staccati dell'opuscolo dove tratto delle deficienze e delle lacune del nostro partito. I marxisti russi sono già sufficientemente temprati alle battaglie per non lasciarsi commuovere da questi colpi di spillo, per continuare, malgrado ciò, il loro lavoro di autocritica e di smascheramento spietate, dei propri difetti, che saranno sicuramente e inevitabilmente superati con lo sviluppo del movimento operaio" (Vol. VI. p. 161 ed. russa).

Sono questi, in generale, i tratti caratteristici del metodo del leninismo.
Ciò che si trova nel metodo di Lenin, si trovava già, sostanzialmente, nella dottrina di Marx che, secondo le parole di Marx stesso, é «critica e rivoluzionaria nella sua essenza». E proprio questo spirito critico
e rivoluzionario che penetra da cima a fondo il metodo di Lenin.
Ma non sarebbe giusto pensare che il metodo di Lenin sia una semplice restaurazione di ciò che ha dato Marx. In realtà, il metodo di Lenin non é soltanto la restaurazione, ma é anche la concretizzazione e lo sviluppo ulteriore del metodo critico e rivoluzionario di Marx, della sua dialettica materialistica.

III
LA TEORIA
Di questo tema tratterò tre questioni:
a) l'importanza della teoria per il movimento proletario,
b) la critica della «teoria» della spontaneità e
c) la teoria della rivoluzione proletaria.

1) Importanza della teoria. Alcuni credono che il leninismo sia il prevalere della pratica sulla teoria, nel senso che l'essenziale in esso sia la traduzione in atto delle tesi marxiste, l'«applicazione» di queste tesi e che, nei riguardi della teoria, il leninismo sia, secondo loro, abbastanza noncurante. È noto che Plekhanov schernì più volte la «noncuranza» di Lenin per la teoria e specialmente per la filosofia. È noto, d'altra parte, che la teoria non é molto nelle grazie di molti leninisti pratici d'oggigiorno, a causa soprattutto dell'enorme quantità di lavoro pratico cui la situazione li costringe a sobbarcarsi. Devo dichiarare che questa opinione più che strana su Lenin e sul leninismo é completamente falsa e non corrisponde per niente alla realtà, che la tendenza dei pratici a infischiarsi della teoria contraddice a tutto lo spirito del leninismo ed é grave di seri pericoli per la nostra causa.
La teoria é l'esperienza del movimento operaio di tutti i paesi, considerata sotto l'aspetto generale. Naturalmente la teoria diventa priva di oggetto se non viene collegata con la pratica rivoluzionaria, esattamente allo stesso modo che la pratica diventa cieca se non si rischiara la strada con la teoria rivoluzionaria. Ma la teoria può diventare un'enorme forza del movimento operaio se viene elaborata in unione indissolubile con la pratica rivoluzionaria, poiché essa e soltanto essa può dare al movimento sicurezza, capacità di orientamento e comprensione del legame intimo degli avvenimenti circostanti, poiché essa e soltanto essa può aiutare la pratica a comprendere non soltanto come e in qual direzione si muovono le classi nel momento presente, ma anche come e in quale direzione esse devono muoversi nel prossimo avvenire. È stato proprio Lenin che ha detto e ripetuto decine di volte la nota tesi che:
«Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario» («Che fare?», Vol. IV, p. 380 ed. russa).

Più d'ogni altro, Lenin comprendeva la grande importanza della teoria, specialmente per un partito come il nostro, in considerazione della funzione che gli é toccata, di combattente d'avanguardia del proletariato internazionale, in considerazione della complicata situazione interna e internazionale che lo circonda. Prevedendo questa funzione particolare del nostro partito sin dal 1902, egli riteneva necessario, sin d'allora, ricordare che:
«Solo un partito guidato da una teoria d'avanguardia può adempiere la funzione di combattente d'avanguardia» (Ibidem).
Non occorre dimostrare che oggi, la predizione di Lenin sulla funzione del nostro partito essendosi già realizzata, questa tesi di Lenin acquista una particolare forza e un'importanza particolare.
Forse la prova più lampante della grande importanza che Lenin attribuiva alla teoria dovrebbe essere cercata nel fatto che Lenin stesso si assunse il compito estremamente importante di generalizzare, secondo la filosofia materialistica, tutte le conquiste più importanti fatte dalla scienza nel periodo da Engels a Lenin, e di criticare a fondo le correnti antimaterialistiche fra i marxisti. Engels diceva che «il materialismo deve prendere un nuovo aspetto a ogni nuova grande scoperta». E' noto che per la sua epoca questo compito fu assolto proprio da Lenin con la sua opera poderosa «Materialismo ed empiriocriticismo». È noto che Plekhanov, pur tanto incline a schernire la «noncuranza» di Lenin per la filosofia, non ebbe l'animo di accingersi seriamente all'adempimento di questo compito.

2) Critica della «teoria» della spontaneità, ossia della funzione dell'avanguardia nel movimento. La «teoria» della spontaneità é la teoria dell'opportunismo, la teoria del culto della spontaneità del movimento operaio, la teoria della negazione di fatto della funzione dirigente dell'avanguardia della classe operaia, del partito della classe operaia.
La teoria del culto della spontaneità é decisamente ostile al carattere rivoluzionario del movimento operaio, non vuole che il movimento si diriga secondo la linea della lotta contro le basi del capitalismo, vuole che il movimento segua esclusivamente la linea delle rivendicazioni che possono essere «attuate», «accettate» dal capitalismo, é totalmente favorevole alla «linea della minore resistenza». La teoria della spontaneità é l'ideologia del tradunionismo.
La teoria del culto della spontaneità é decisamente ostile a che venga dato al movimento spontaneo un carattere cosciente, metodico, non vuole che il partito marci davanti alla classe operaia, che il partito elevi le masse sino a renderle coscienti, non vuole che il partito prenda la direzione del movimento; essa ritiene che gli elementi coscienti non debbano impedire al movimento di andare per la sua strada, essa vuole che il partito si limiti a registrare il movimento spontaneo e a trascinarsi alla sua coda. La teoria della spontaneità é la teoria della sottovalutazione della funzione dell'elemento cosciente nel movimento, l'ideologia del «codismo», la base logica dell'opportunismo di ogni sorta.

Praticamente questa teoria, apparsa sulla scena prima ancora della prima rivoluzione russa, aveva come conseguenza che i suoi seguaci, i cosiddetti «economisti», negavano la necessità di un partito operaio indipendente in Russia, prendevano posizione contro la lotta rivoluzionaria della classe operaia per l'abbattimento dello zarismo, predicavano nel movimento una politica tradunionista e mettevano, in generale, il movimento operaio sotto l'egemonia della borghesia liberale.
La lotta della vecchia «Iskra» e la brillante critica della teoria del «codismo», che venne fatta nell'opuscolo di Lenin «Che fare?», non solo sconfissero il cosiddetto «economismo», ma crearono pure le basi teoriche di un movimento veramente rivoluzionario della classe operaia russa.
Senza questa lotta non sarebbe neanche stato possibile pensare alla creazione in Russia di un partito operaio indipendente e a una sua funzione dirigente nella rivoluzione.

Ma la teoria del culto della spontaneità non é un fenomeno unicamente russo. Essa ha la più larga diffusione, é vero, in forma alquanto diversa, in tutti i partiti della II Internazionale, senza eccezione. Alludo alla cosiddetta teoria «delle forze produttive», ridotta a una banalità dai capi della II Internazionale, teoria che, com'essi l'hanno ridotta, giustifica tutto e concilia tutti, constata i fatti e li spiega quando tutti ne hanno già fin sopra i capelli, ma, dopo averli constatati, non va più in là. Marx ha detto che la dottrina materialistica non può limitarsi a spiegare il mondo, che essa deve anche trasformarlo. Ma Kautsky e C. non arrivano sino a questo, preferiscono fermarsi alla prima parte della formula di Marx. Ecco un esempio, fra i tanti, dell'applicazione di questa «teoria». Dicono che, prima della guerra imperialista, i partiti della II Internazionale avevano minacciato di dichiarare «guerra alla guerra» se gli imperialisti avessero scatenato la guerra. Dicono che, allo scoppio della guerra, questi stessi partiti passarono agli archivi la parola d'ordine «guerra alla guerra» e applicarono la parola d'ordine opposta di «guerra per la patria imperialista».
Dicono che il risultato di questo cambiamento di parole d'ordine fu il massacro di milioni di operai. Ma sarebbe un errore pensare che ci siano dei colpevoli di questo fatto, che qualcuno abbia tradito o venduto la classe operaia. Niente affatto! Tutto é accaduto come doveva accadere. Prima di tutto perché l'Internazionale é uno «strumento di pace» e non di guerra. In secondo luogo perché, dato il «livello delle forze produttive» esistente in quel tempo, non era possibile fare niente di diverso. La «colpa» é delle «forze produttive». La «teoria delle forze produttive» del signor Kautsky «ce» lo spiega con precisione. E chi non crede a questa «teoria» non é marxista. La funzione dei partiti? La loro importanza nel movimento? Ma che può mai fare il partito contro un fattore così decisivo come il «livello delle forze produttive»?...

Di cosiffatti esempi di falsificazione del marxismo se ne potrebbero citare a iosa.
Non occorre dimostrare che questo «marxismo» falsificato, destinato a coprire le vergogne dell'opportunismo, non é che una varietà europea di quella stessa teoria del «codismo» contro la quale Lenin combatteva già nel periodo anteriore alla prima rivoluzione russa.
Non occorre dimostrare che la distruzione di questa falsificazione teorica é condizione preliminare per la creazione di partiti veramente rivoluzionari in Occidente.

3) La teoria della rivoluzione proletaria. La teoria leninista della rivoluzione proletaria ha come punto di partenza tre tesi fondamentali.
Tesi prima. Il dominio del capitale finanziario nei paesi capitalistici progrediti; l'emissione di valori, che é una delle principali operazioni del capitale finanziario; l'esportazione di capitali verso le sorgenti di materie prime, che é una delle basi dell'imperialismo; l'onnipotenza dell'oligarchia finanziaria, conseguenza del dominio del capitale finanziario, - tutto ciò mette a nudo il carattere brutalmente parassitario del capitalismo monopolistico, rende cento volte più sensibile il giogo dei trust e sindacati capitalistici, accresce la collera della classe operaia contro le basi del capitalismo, conduce le masse alla rivoluzione proletaria come unica via di salvezza (vedi Lenin, «L'imperialismo»).
Da ciò una prima conclusione: acutizzazione della crisi rivoluzionaria nei singoli paesi capitalistici, sviluppo nelle «metropoli» degli elementi di un'esplosione sul fronte interno, sul fronte proletario.

Tesi seconda. L'accresciuta esportazione di capitali nei paesi coloniali e dipendenti; l'estensione delle «sfere d'influenza» e dei possedimenti coloniali fino a comprendere tutto il globo; la trasformazione del capitalismo in un sistema mondiale di asservimento finanziario e di oppressione coloniale dell'immensa maggioranza della popolazione del globo ad opera di un gruppo di paesi «progrediti», - tutto ciò, da una parte ha fatto delle economie nazionali singole e dei singoli territori nazionali gli anelli di una catena unica, chiamata economia mondiale, d'altra parte ha diviso la popolazione del globo in due campi: un pugno di paesi capitalistici «progrediti» che sfruttano e opprimono vasti paesi coloniali e dipendenti e un'enorme maggioranza di paesi coloniali e dipendenti, costretti alla lotta per liberarsi dal giogo dell'imperialismo (Vedi Lenin. «L'imperialismo»).
Da ciò una seconda conclusione: acutizzazione della crisi rivoluzionaria nei paesi coloniali, sviluppo dello spirito di rivolta contro l'imperialismo sul fronte esterno, coloniale.

Tesi terza. Il monopolio delle «sfere d'influenza» e delle colonie, lo sviluppo ineguale dei diversi paesi capitalistici, che determina una lotta accanita per una nuova spartizione del mondo tra i paesi che si sono già impossessati dei territori e i paesi che vogliono ricevere la «parte» loro, le guerre imperialiste, unico mezzo per ristabilire «l'equilibrio» spezzato, - tutto ciò porta a un inasprimento della lotta su di un terzo fronte, un fronte intercapitalistico, il che indebolisce l'imperialismo e agevola l'unione contro l'imperialismo dei due fronti precedenti, del fronte rivoluzionario proletario e del fronte della lotta per la liberazione delle colonie (Vedi Lenin. «L'imperialismo»).
Da ciò una terza conclusione: ineluttabilità delle guerre nell'epoca dell'imperialismo, inevitabilità della coalizione della rivoluzione proletaria in Europa con la rivoluzione coloniale in Oriente in un unico fronte mondiale della rivoluzione contro il fronte mondiale dell'imperialismo.
Tutte queste conclusioni vengono raccolte da Lenin in una sola conclusione generale, secondo cui "l'imperialismo è la vigilia della rivoluzione socialista" («L'imperialismo», Vol. XIX, p. 71, ed. russa).

Di conseguenza cambia il modo stesso di affrontare il problema della rivoluzione proletaria, del suo carattere, della sua ampiezza, della sua profondità, cambia lo schema della rivoluzione in generale.
Prima si analizzavano di solito le premesse della rivoluzione proletaria partendo dall'esame della situazione economica di questo o di quel paese singolo. Oggi questo metodo non basta più. Oggi bisogna trattare la questione partendo dall'esame della situazione economica di tutti o della maggior parte dei paesi, dall'esame dello stato dell'economia mondiale, perché i paesi singoli e le singole economie nazionali hanno cessato di essere delle unità sufficienti a sé stesse, sono diventati anelli di una catena unica che si chiama economia mondiale, perché il vecchio capitalismo «civile» si é trasformato nell'imperialismo, e l'imperialismo é il sistema mondiale dell'asservimento finanziario e dell'oppressione coloniale dell'enorme maggioranza della popolazione del globo da parte di un pugno di paesi «progrediti».

Prima si era soliti parlare dell'esistenza o della mancanza delle condizioni oggettive per la rivoluzione proletaria in paesi singoli o, più esattamente, in questo o in quel paese sviluppato. Oggi questo punto di vista non é più sufficiente. Oggi si deve parlare dell'esistenza delle condizioni oggettive per la rivoluzione in tutto il sistema dell'economia imperialista mondiale, considerato come un unico assieme. L'esistenza, in seno a questo sistema, di alcuni paesi non abbastanza sviluppati industrialmente non può costituire un ostacolo insormontabile alla rivoluzione, se il sistema, nel suo assieme, o, meglio, in quanto sistema complessivo, é già maturo per la rivoluzione.

Prima si era soliti parlare della rivoluzione proletaria in questo o in quel paese sviluppato come di una entità singola, sufficiente a sé stessa, opposta a un fronte nazionale singolo del capitale, come al proprio antipodo. Oggi questo punto di vista non é più sufficiente. Oggi si deve parlare di rivoluzione proletaria mondiale, perché i differenti fronti nazionali del capitale son divenuti gli anelli di una catena unica, che si chiama fronte mondiale dell'imperialismo, a cui deve essere opposto il fronte generale del movimento rivoluzionario di tutti i paesi.
Prima si considerava la rivoluzione proletaria come il risultato del solo sviluppo interno di un dato paese. Oggi questo punto di vista non é più sufficiente. Oggi bisogna considerare la rivoluzione proletaria innanzi tutto come il risultato dello sviluppo delle contraddizioni nel sistema mondiale dell'imperialismo, come il risultato della rottura della catena del fronte mondiale imperialistico in questo o in quel paese.

Dove incomincerà la rivoluzione? Dove può essere spezzato prima il fronte del capitale? In quale paese?
Là dove l'industria é più sviluppata, dove il proletariato costituisce la maggioranza, dove c'é più civiltà, dove c'é più democrazia, - si rispondeva di solito una volta.
No, - obietta la teoria leninista della rivoluzione, - non obbligatoriamente là dove l'industria è più sviluppata, ecc. Il fronte del capitale si spezzerà là dove la catena dell'imperialismo é più debole, perché la rivoluzione proletaria é il risultato della rottura della catena del fronte imperialistico mondiale nel suo punto più debole, e può quindi avvenire che il paese che ha incominciato la rivoluzione, il paese che ha spezzato il fronte del capitale, sia capitalisticamente meno sviluppato di altri paesi, più sviluppati, rimasti, però, nel quadro del capitalismo.

Nel 1917 la catena del fronte imperialistico mondiale era più debole in Russia che in altri paesi. E là essa si é spezzata, aprendo la via alla rivoluzione proletaria. Perché? Perché in Russia si scatenava una grandiosa rivoluzioni popolare, alla testa della quali marciava un proletariato rivoluzionario, che aveva per sé un alleato così serio come i milioni e milioni di contadini oppressi e sfruttati dai grandi proprietari fondiari. Perché in Russia la rivoluzione aveva per avversario un rappresentante così ripugnante dell'imperialismo, quale era lo zarismo, privo di ogni autorità morale, giustamente odiato da tutta la popolazioni. La catena era più debole in Russia, sebbene la Russia fosse capitalisticamente meno sviluppata che, per esempio, la Francia e la Germania, l'Inghilterra o l'America.
Dove si spezzerà la catena nel prossimo avvenire? Ancora una volta, là dove essa é più debole. Non é escluso chi la catena si possa spezzare, per esempio, in India. Perché? Perché ivi esiste un giovane proletariato rivoluzionario combattivo, che ha un alleato come il movimento di liberazione nazionale, alleato incontestabilmente potente e incontestabilmente serio. Perché ivi la rivoluzione ha contro di sé un avversario, a tutti noto, quale l'imperialismo straniero, privo di autorità morali e giustamente odiato da tutte le masse sfruttate e oppresse dell'India.

È anche del tutto possibile che la catena si spezzi in Germania. Perché? Perché i fattori che agiscono, per esempio, in India, incominciano ad agire anche in Germania, pur essendo evidente che l'immensa
differenza esistente tra il livello di sviluppo dell'India e quello della Germania non potrà non dare la propria impronta al corso e all'esito della rivoluzione in quest'ultimo paese.
Ecco perché Lenin dice che:
"I paesi capitalistici dell'Europa occidentale compiranno la loro evoluzione verso il socialismo ... non attraverso una "maturazione" uniforme del socialismi in essi, ma attraverso lo sfruttamento di alcuni Stati da parte di altri, attraverso lo sfruttamento del primo Stato vinto nella guerra imperialista, unito allo sfruttamento di tutto l'Oriente. Ma l'Oriente, d'altra parte, è entrato definitivamente nel movimento rivoluzionario appunto in seguito a questa prima guerra imperialista, ed è stato trascinato definitivamente nel turbine generale del movimento rivoluzionario mondiale» («Meglio meno, ma meglio», Vol. XXVII, pp. 415-416 ed. russa).

In breve: la catena del fronte imperialistico, di regola, si deve spezzare là dove gli anelli della catena sono più deboli e, in ogni caso, non obbligatoriamente là dove il capitalismo é più sviluppato, dove i proletari sono il tanto per cento, i contadini il tanto per cento e così via.
Ecco perché i calcoli statistici sulla percentuale del proletariato nella popolazione di questo o di quel paese singolo perdono, relativamente alla soluzione del problema della rivoluzione proletaria, quell'importanza eccezionale che loro attribuivano volentieri i bacchettoni della II Internazionale, che non hanno capito l'imperialismo e temono la rivoluzione come la peste.

Proseguiamo. Gli eroi della II Internazionale affermavano (e continuano ad affermare) che, tra la rivoluzione democratica borghese da una parte e la rivoluzione proletaria dall'altra, c'é un abisso, o, per lo meno, una muraglia cinese, e per cui l'una é separata dall'altra da un intervallo più o meno lungo, durante il quale la borghesia, arrivata al potere, sviluppa il capitalismo, mentre il proletariato raccoglie le forze e si prepara alla «lotta decisiva» contro il capitalismo. Quest'intervallo viene di solito valutato a molti decenni, se non di più. Non occorre dimostrare che questa «teoria» della muraglia cinese é, nel periodo dell'imperialismo, priva di ogni valore scientifico, che essa non é e non può essere altro che un mezzo per coprire e mascherare le brame controrivoluzionarie della borghesia. Non occorre dimostrare che, nelle condizioni esistenti nel periodo dell'imperialismo, gravido di collisioni e di guerre, alla «vigilia della rivoluzione socialista», quando il capitalismo «fiorente» si trasforma in capitalismo «morente» (Lenin) e il movimento rivoluzionario si sviluppa in tutti i paesi del mondo, quando l'imperialismo si allea con tutte le forze reazionarie, senza eccezione, persino con lo zarismo e con il regime feudale, rendendo così inevitabile la coalizione di tutte le forze rivoluzionarie, dal movimento proletario in Occidente fino al movimento di liberazione nazionale in Oriente, quando la distruzione delle sopravvivenze del regime feudale diventa impossibile senza una lotta rivoluzionaria contro l'imperialismo, - non occorre dimostrare che la rivoluzione democratica borghese, in un paese più o meno sviluppato, deve, in queste condizioni, avvicinarsi alla rivoluzione proletaria, che la prima deve trasformarsi nella seconda.

La storia della rivoluzione in Russia ha dimostrato con evidenza che questa affermazione é giusta e incontestabile. Non a caso Lenin, fin dal 1905, alla vigilia della prima rivoluzione russa, presentava, nel suo opuscolo «Due tattiche», la rivoluzione democratica borghese e la rivoluzione socialista come due anelli di una sola catena, come un quadro unico, un quadro d'assieme del processo della rivoluzione russa:
«Il proletariato deve condurre a termine la rivoluzione democratica legando a sé la massa dei contadini, per schiacciare con la forza la resistenza dell'autocrazia e paralizzare l'instabilità della borghesia. Il proletariato deve fare la rivoluzione socialista legando a sé la massa degli elementi semiproletari della popolazione, per spezzare con la forza la resistenza della borghesia e paralizzare l'instabilità dei contadini e della piccola borghesia. Tali sono i compiti del proletariato, compiti che i seguaci della nuova "Iskra" presentano in modo così ristretto in tutti i loro ragionamenti e risoluzioni sull'estensione della rivoluzione» («Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica», Vol. VIII, p. 96 ed. russa).

E non parlo di altri lavori, più recenti, di Lenin, in cui l'idea della trasformazione della rivoluzione borghese in rivoluzione proletaria appare, con maggior rilievo che in «Due tattiche», come una delle pietre angolari della teoria leninista della rivoluzione.
Certi compagni, a quanto pare, credono che Lenin sia giunto a quest'idea soltanto nel 1916 e che fino ad allora avesse pensato che la rivoluzione in Russia sarebbe rimasta nel quadro borghese, che il potere, quindi, sarebbe passato dalle mani dell'organo della dittatura del proletariato e dei contadini nelle mani della borghesia e non del proletariato. Dicono che quest'affermazione sia penetrata persino nella nostra stampa comunista. Debbo dire che quest'affermazione é assolutamente falsa, che essa non corrisponde per niente alla realtà.
Potrei riferirmi al noto discorso di Lenin al III congresso del partito (1905), nel quale egli qualificava la dittatura del proletariato e dei contadini, la vittoria cioè della rivoluzione democratica, non come "l'organizzazione dell'ordine", ma come "l'organizzazione della guerra" ("Sulla partecipazione della socialdemocrazia al governo rivoluzionario provvisorio», Vol. VII, p. 264 ed. russa).

Potrei riferirmi, inoltre, ai noti articoli di Lenin «Sul governo provvisorio» (1905) dove Lenin, tracciando le prospettive dello sviluppo della rivoluzione russa, pone davanti al partito il compito di «fare in modo che la rivoluzione russa non sia un movimento di alcuni mesi, ma un movimento di molti anni, che essa non metta capo soltanto ad alcune piccole concessioni da parte di coloro che detengono il potere, ma al rovesciamento completo di costoro», e dove egli, sviluppando questa prospettiva e collegandola con la rivoluzione in Europa, continua:
«Se a ciò si perverrà, - allora ... allora l'incendio rivoluzionario darà fuoco all'Europa; l'operaio europeo, stanco della reazione borghese, si leverà a sua volta e ci mostrerà "come si deve fare"; allora l'ondata rivoluzionaria dell'Europa eserciterà il suo contraccolpo sulla Russia e di un'epoca di alcuni anni rivoluzionari farà un'epoca di alcuni decenni rivoluzionari...» («La socialdemocrazia e il governo rivoluzionario provvisorio». ib., p. 191).
Potrei riferirmi ancora al noto articolo di Lenin, pubblicato nel novembre 1915, in cui egli scrive:
«Il proletariato lotta e lotterà con abnegazione per la conquista del potere, per la repubblica, per la confisca delle terre ..., per la partecipazione delle ,,masse popolari non proletarie" alla liberazione della Russia borghese "imperialismo" feudale militare (= zarismo). E di questa liberazione della Russia borghese dallo zarismo, dal potere dei proprietari fondiari sulla terra, il proletariato approfitterà immediatamente, non per aiutare i contadini agiati nella loro lotta contro gli operai agricoli, ma per condurre a termine la rivoluzione socialista in unione coi proletari d'Europa» («Due linee della rivoluzione», Vol. XVIII, p. 318 ed. russa).
Potrei riferirmi, infine, a un noto passo dell'opuscolo di Lenin «La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky», in cui egli, riferendosi al passo sopra citato di "Due tattiche", relativo all'estensione della rivoluzione russa, giunge a questa conclusione:
«È avvenuto proprio così come avevamo detto. Il corso della rivoluzione ha confermato la giustezza del nostro ragionamento. Da principio, insieme a" tutti" i contadini, contro la monarchia, contro i proprietari fondiari, contro il regime medioevale (e pertanto la rivoluzione resta borghese, democratica borghese). In seguito, insieme ai contadini poveri, insieme ai semiproletari, insieme a tutti gli sfruttati, contro il capitalismo, compresi i contadini ricchi, i kulak, gli speculatori, e pertanto la rivoluzione diventa socialista. Tentar di innalzare artificialmente una muraglia cinese tra l'una e l'altra, di separarle l'una dall'altra con qualche cosa che non sia il grado di preparazione del proletariato e il grado della sua unione con i contadini poveri, è il peggiore pervertimento del marxismo, la riduzione del marxismo a una banalità, la sostituzione ad esso del liberalismo» (Vol. XXIII, p. 391 ed. russa).

E mi pare che basti.
Va bene, ci si dirà, ma, se é così, perché Lenin ha combattuto l'idea della «rivoluzione permanente ininterrotta)»?
Perché Lenin proponeva di «esaurire» le capacità rivoluzionarie dei contadini e utilizzare sino all'ultimo la loro energia rivoluzionaria per la liquidazione completa dello zarismo, per il passaggio alla rivoluzione proletaria, mentre i partigiani della «rivoluzione permanente» non comprendevano l'importanza della funzione dei contadini nella rivoluzione russa, sottovalutavano la potenza dell'energia rivoluzionaria dei contadini, sottovalutavano la forza e la capacità del proletariato russo di trarre dietro a sé i contadini, e rendevano difficile la liberazione dei contadini dall'influenza della borghesia e il loro raggruppamento attorno al proletariato.
Perché Lenin proponeva di coronare l'opera della rivoluzione col passaggio del potere al proletariato, mentre i partigiani della rivoluzione «permanente» pensavano di cominciare direttamente col potere del proletariato, non comprendendo che in questo modo essi chiudevano gli occhi su un'«inezia» del genere delle sopravvivenze feudali e non tenevano conto di una forza seria come i contadini russi, non comprendendo che una tale politica non poteva che ostacolare la conquista dei contadini da parte del proletariato.
Lenin combatteva, dunque, i partigiani della rivoluzione «permanente» non perché essi sostenessero la continuità della rivoluzione, giacché Lenin stesso sosteneva il punto di vista della rivoluzione ininterrotta, ma perché sottovalutavano la funzione dei contadini, che sono la più grande riserva del proletariato, e perché non comprendevano l'idea dell'egemonia del proletariato.
L'idea della rivoluzione «permanente» non é un'idea nuova. La espose per la prima volta Marx verso il 1850, nel suo noto «Indirizzo» alla «Lega dei Comunisti». Da questo documento i nostri «permanentisti» presero l'idea della rivoluzione ininterrotta. Bisogna però osservare che i nostri «permanentisti», nel prenderla da Marx, l'hanno alquanto modificata, e modificandola l'hanno «rovinata» e resa inadatta all'uso pratico. C'é voluta la mano esperta di Lenin per correggere questo errore, prendere l'idea della rivoluzione ininterrotta di Marx nella sua forma pura e farne una delle pietre angolari della sua teoria della rivoluzione.
Ecco che cosa dice Marx a proposito della rivoluzione ininterrotta nel suo «Indirizzo», dopo aver enumerato una serie di rivendicazioni democratiche rivoluzionarie, alla realizzazione delle quali egli chiama i comunisti:
" Mentre i piccoli borghesi democratici, realizzando il maggior numero possibile delle rivendicazioni sopra indicate vogliono terminare al più presto la rivoluzione, i nostri interessi e i nostri compiti consistono nel rendere la rivoluzione ininterrotta sino a che tutte le classi più o meno possidenti non siano eliminate dal potere, sino a che il proletariato non abbia conquistato il potere dello Stato, sino a che le associazioni dei proletari non solo in un paese, ma in tutti i paesi dominanti del mondo, non si siano sviluppate al punto che venga meno la concorrenza fra i proletari di questi paesi, e sino a che, almeno le forze produttive
decisive non siano concentrate nelle mani dei proletari».
In altri termini:
a) Marx, contrariamente ai piani dei nostri «permanentisti» russi, non proponeva affatto di incominciare la rivoluzione, nella Germania del 1850-1860, direttamente col potere proletario;
b) Marx proponeva solamente di coronare la rivoluzione con il potere proletario di Stato, sbalzando, passo a passo, una frazione della borghesia dopo l'altra dalle vette del potere, per scatenare, dopo l'avvento del proletariato al potere, la rivoluzione in tutti i paesi. Ciò corrisponde perfettamente a tutto ciò che Lenin ha insegnato e a tutto ciò che Lenin ha realizzato, nel corso della nostra rivoluzione, seguendo la propria teoria della rivoluzione proletaria nelle condizioni esistenti nel periodo dell'imperialismo.

Ne risulta che i nostri «permanentisti» russi non solo hanno sottovalutato la funzione dei contadini nella rivoluzione russa e l'importanza dell'idea dell'egemonia del proletariato, ma hanno anche modificato (in peggio) l'idea della rivoluzione «permanente» di Marx, rendendola inadatta all'uso pratico.
Ecco perché Lenin scherniva la teoria dei nostri «permanentisti» chiamandola «originale» e «magnifica», -e accusandoli di non voler «riflettere sulle ragioni per le quali la vita, per un intero decennio, era passata oltre questa magnifica teoria senza tenerne conto» (Articolo di Lenin scritto nel 1915, dieci anni dopo l'apparizione in Russia della teoria dei «permanentisti»: - «Due linee della rivoluzione», Vol. XVIII, p. 317 ed. russa).
Ecco perché Lenin considerava questa teoria come semimenscevica, dicendo che essa «prende dai bolscevichi l'appello alla lotta rivoluzionaria decisiva del proletariato e alla conquista del potere politico da parte di esso, e dai menscevichi la „negazione" della funzione dei contadini» (Ved. l'articolo di Lenin «Due linee della rivoluzione», ibidem).
Ecco qual é il pensiero di Lenin circa la trasformazione della rivoluzione democratica borghese in rivoluzione proletaria, circa l'utilizzazione della rivoluzione borghese per il passaggio «immediato» alla rivoluzione proletaria.

Proseguiamo. Prima si considerava impossibile la vittoria della rivoluzione in un solo paese, perché si riteneva che per vincere la borghesia fosse necessaria l'azione comune del proletariato di tutti i paesi avanzati o almeno della maggior parte di essi. Oggi questo punto di vista non corrisponde più alla realtà. Oggi bisogna ammettere la possibilità di una tale vittoria, perché il carattere ineguale, a sbalzi, dello sviluppo dei diversi paesi capitalistici nel periodo dell'imperialismo, lo sviluppo delle catastrofiche contraddizioni interne dell'imperialismo, che generano delle guerre inevitabili, lo sviluppo del movimento rivoluzionario in tutti i paesi del mondo, - tutto ciò determina non solo la possibilità, ma l'inevitabilità della vittoria del proletariato in singoli paesi. La storia della rivoluzione in Russia ne fornisce una prova diretta. Bisogna soltanto ricordare che l'abbattimento della borghesia può essere realizzato con successo soltanto nel caso in cui esistano certe condizioni assolutamente indispensabili, mancando le quali non si può neanche pensare alla presa del potere da parte del proletariato.
Ecco che cosa dice Lenin a proposito di queste condizioni nel suo opuscolo «La malattia infantile»:
«La legge fondamentale della rivoluzione, confermata da tutte le rivoluzioni e particolarmente da tutte e tre le rivoluzioni russe del secolo XX, consiste in questo: per la rivoluzione non è sufficiente che le masse sfruttate e oppresse siano coscienti dell'impossibilità di vivere come per il passato e reclamino dei cambiamenti; per la rivoluzione è necessario che gli sfruttatori non possano più vivere e governare come per l'innanzi. Soltanto quando gli "strati inferiori" non vogliono più vivere come per il passato e gli "strati superiori" non possono più andare avanti come prima, soltanto allora la rivoluzione può vincere. In altri termini, questa verità si esprime così: la rivoluzione non è possibile senza una crisi di tutta la nazione (che coinvolga sfruttati e sfruttatori). Per la rivoluzione bisogna, dunque, in primo luogo, che la maggioranza degli operai (o per lo meno la maggioranza degli operai coscienti, pensanti, politicamente attivi) comprenda pienamente la necessità della rivoluzione e sia pronta ad affrontare la morte per essa; in secondo luogo, che le classi dirigenti attraversino una crisi di governo che trascini nella politica anche le masse più arretrate. .., indebolisca il, governo e renda possibile ai rivoluzionari il rapido rovesciamento di esso» (Vol. XXV, p. 222 ed. russa).

Ma abbattere il potere della borghesia e instaurare il potere del proletariato in un solo paese non vuol ancora dire assicurare la vittoria completa del socialismo. Consolidato il proprio potere e tratti dietro a sé i contadini, il proletariato del paese vittorioso può e deve edificare la società socialista. Ma significa forse che con ciò esso arriverà alla vittoria completa, definitiva del socialismo, cioè che esso può, con le forze di un solo paese, consolidare definitivamente il socialismo e garantire completamente il paese dall'intervento straniero e, quindi, dalla restaurazione? No, non significa questo. Per questo é necessaria la vittoria della rivoluzione almeno in alcuni paesi. Perciò lo sviluppo e l'appoggio della rivoluzione negli altri paesi é un compito essenziale della rivoluzione vittoriosa. Perciò la rivoluzione del paese vittorioso deve considerarsi non come una entità sufficiente a sé stessa, ma come un ausilio, come un mezzo atto ad accelerare la vittoria del proletariato negli altri paesi.
Lenin espresse questo pensiero in due parole, dicendo che il compito della rivoluzione vittoriosa consiste nel realizzare «il massimo del realizzabile in un solo paese per sviluppare, appoggiare, svegliare la rivoluzione in tutti i paesi» («La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky», Vol. XXIII, p. 385 ed. russa).
Questi sono, a grandi linee, i tratti caratteristici della teoria leninista della rivoluzione proletaria.

IV
LA DITTATURA DEL PROLETARIATO
Di questo tema tratterò tre questioni fondamentali:
a) la dittatura del proletariato, strumento della rivoluzione proletaria;
b) la dittatura del proletariato, dominio del proletariato sulla borghesia;
e) il potere dei Soviet, forma statale della dittatura del proletariato.

1) La dittatura del proletariato, strumento della rivoluzione proletaria. La questione della dittatura proletaria é anzitutto la questione del contenuto essenziale della rivoluzione proletaria. La rivoluzione proletaria, il suo movimento, la sua estensione, le sue conquiste, prendono carne ed ossa solo attraverso la dittatura del proletariato. La dittatura del proletariato é lo strumento della rivoluzione proletaria, il suo organo, il suo punto di appoggio più importante, creato allo scopo- in primo luogo, di schiacciare la resistenza degli sfruttatori abbattuti e di consolidare le conquiste della rivoluzione e, in secondo luogo, di condurre a termine la rivoluzione proletaria, di condurre la rivoluzione fino alla vittoria completa del socialismo. La rivoluzione può vincere la borghesia, abbatterne il potere, anche senza la dittatura del proletariato, ma la rivoluzione non può schiacciare la resistenza borghese, salvaguardare la vittoria e procedere oltre verso la vittoria definitiva del socialismo se a un certo momento del suo sviluppo non crea un organo speciale: la dittatura del proletariato, suo appoggio fondamentale.

«La questione fondamentale della rivoluzione é la questione del potere» (Lenin). Ciò vuol forse dire che tutto si riduca alla presa del potere, alla conquista del potere? No, non vuol dir questo. La presa del potere é solo l'inizio dell'opera. La borghesia, rovesciata in un paese, resta ancora a lungo, per molte ragioni, più forte del proletariato che l'ha rovesciata. Quindi tutto sta nel conservare il potere, nel consolidarlo, nel renderlo invincibile. Che cosa occorre per raggiungere questo scopo? È necessario adempiere per lo meno tre compiti principali, che si presentano alla dittatura del proletariato «il giorno dopo» la vittoria:
a) spezzare la resistenza dei proprietari fondiari e dei capitalisti rovesciati ed espropriati dalla rivoluzione, liquidare i loro tentativi d'ogni sorta di restaurare il potere del capitale;
b) organizzare il lavoro costruttivo raccogliendo tutti i lavoratori attorno al proletariato e svolgere questo lavoro in modo da preparare la liquidazione, la soppressione delle classi;
e) armare la rivoluzione, organizzare l'esercito della rivoluzione per la lotta contro i nemici esterni, per la lotta contro l'imperialismo.

La dittatura del proletariato é necessaria per risolvere, per adempiere questi compiti.
«Il passaggio dal capitalismo al comunismo abbraccia, - dice Lenin, - un'intera epoca storica. Finché essa non sia terminata, gli sfruttatori conservano inevitabilmente la speranza in una restaurazione, e questa speranza si traduce in tentativi di restaurazione. Anche dopo la prima disfatta seria, gli sfruttatori rovesciati, che non si aspettavano di esserlo, che non ci credevano, che non ne ammettevano neanche l'idea, si scagliano nella battaglia con energia decuplicata, con furiosa passione, con odio cento volte più intenso, per riconquistare il ,,paradiso" perduto alle loro famiglie, che vivevano una vita così dolce e che la ,,canaglia popolare" condanna ora alla rovina e alla miseria (o a un lavoro ,,ordinario"...) E a rimorchio dei capitalisti sfruttatori si trascina la grande massa della piccola borghesia la quale, come attestano decenni di esperienza storica di tutti i paesi, oscilla ed esita, oggi marcia al seguito del proletariato, domani si spaventa delle difficoltà della rivoluzione, è presa da panico alla prima sconfitta o al primo scacco degli operai, cade in preda al nervosismo, non sa dove batter la testa, piagnucola, passa da un campo all'altro» («La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky», Vol. XXIII, p. 355 ed. russa).

E la borghesia ha le sue ragioni per fare dei tentativi di restaurazione, perché, dopo esser stata rovesciata, essa resta ancora a lungo più forte del proletariato che l'ha rovesciata.
«Se gli sfruttatori, - dice Lenin, - sono battuti soltanto in un paese, ed è questa naturalmente la regola, poiché la rivoluzione simultanea in parecchi paesi è una rara eccezione, essi restano tuttavia più forti degli sfruttati» (Ib., p. 354).
In che cosa consiste la forza della borghesia rovesciata?

"In primo luogo, «nella forza dei capitale internazionale, nella forza e nella solidità dei legami internazionali della borghesia» («La malattia infantile di sinistra" nel comunismo», Vol. XXV, p. 173 ed. russa).
"In secondo luogo, nel fatto che «ancora per lungo tempo dopo la rivoluzione gli sfruttatori conservano inevitabilmente una serie di enormi vantaggi di fatto: rimangono loro il denaro (che non si può sopprimere immediatamente), una certa quantità di beni mobili, spesso considerevoli; rimangono loro le relazioni, la pratica organizzativa e amministrativa, la conoscenza di tutti i "segreti" dell'amministrazione (consuetudini, procedimenti, mezzi, possibilità), rimangono loro un'istruzione più elevata, strette relazioni con l'alto personale tecnico (che vive e pensa da borghese), rimane loro una conoscenza infinitamente superiore dell'arte militare (il che è molto importante), ecc. ecc.» ("La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky", Vol. XXIII, p. 354 ed. russa).

"In terzo luogo, «nella forza dell'abitudine, nella forza della piccola produzione; poiché, per disgrazia, la piccola produzione esiste tuttora in misura molto, molto grande, e la piccola produzione genera il capitalismo e la borghesia di continuo, ogni giorno, ogni ora, in modo spontaneo e in vaste proporzioni» ... poiché «sopprimere le classi non vuol dire soltanto cacciare i proprietari fondiari e i capitalisti, - ciò che noi abbiamo fatto con relativa facilità, - ma vuol anche dire eliminare i piccoli produttori di merci che è impossibile cacciare, impossibile schiacciare, con i quali bisogna trovare un'intesa, che si possono (e si devono) trasformare, rieducare solo con un lavoro di organizzazione molto lungo, molto lento e molto prudente» («La malattia infantile», Vol. XXV, pp. 173 e 189 ed. russa).

Ecco perché Lenin dice che:
«La dittatura del proletariato è la guerra più eroica e più implacabile della classe nuova contro un nemico più potente, contro la borghesia, la cui resistenza è decuplicata dal fatto di essere stata rovesciata»; che «la dittatura del proletariato é una lotta tenace, cruenta e incruenta, violenta e pacifica, militare ed economica, pedagogica e amministrativa, contro le forze e le tradizioni della vecchia società» (Ib., pp. 173 e 190).
Non occorre dimostrare che adempiere tali compiti in breve volger di tempo, che realizzare tutto questo in alcuni anni, é cosa assolutamente impossibile. Perciò bisogna considerare la dittatura del proletariato, il passaggio dal capitalismo al comunismo, non come un breve periodo di atti e decreti «ultrarivoluzionari», ma come un'intera epoca storica, piena di guerre civili e di conflitti esterni, di tenace lavoro organizzativo e di edificazione economica, di avanzate e di ritirate, di vittorie e di sconfitte. Quest'epoca storica é necessaria non soltanto per creare le premesse economiche e culturali della vittoria completa del socialismo, ma anche per dare al proletariato la possibilità, in primo luogo, di educare e temprare sé stesso come forza capace di dirigere il paese e, in secondo luogo, di rieducare e trasformare gli strati piccoloborghesi in modo da assicurare l'organizzazione della produzione socialista.
«Voi dovete, - diceva Marx agli operai, - passare attraverso quindici, venti, cinquant'anni di guerre civili e di battaglie internazionali, non solo per trasformare i rapporti esistenti, ma anche per trasformarvi voi stessi e rendervi atti al dominio politico" («Rivelazioni sul processo dei comunisti a Colonia», pp. 32-33 ed. tedesca, Mosca 1940).

Continuando e sviluppando il pensiero di Marx, Lenin scrive:
«Durante la dittatura del proletariato bisognerà rieducare milioni di contadini e di piccoli proprietari, centinaia di migliaia di impiegati, di funzionari, di intellettuali borghesi, subordinarli tutti allo Stato proletario e alla direzione proletaria, vincere le loro abitudini e tradizioni borghesi», così come sarà necessario "... rieducare... nel corso di una lunga lotta, sul terreno della dittatura del proletariato, i proletari stessi, che dei loro propri pregiudizi piccolo-borghesi non si liberano di punto in bianco, per miracolo, per ingiunzione della madonna e neppure per ingiunzione di una parola d'ordine, di una risoluzione, di un decreto, ma soltanto nel corso di una lotta di massa lunga e difficile contro le influenze piccolo-borghesi di massa» («La malattia infantile», Vol. XXV, pp. 248 e 247 ed. russa).
2) La dittatura del proletariato, potere del proletariato sulla borghesia. Da quanto abbiamo detto appare ormai che la dittatura del proletariato non é un semplice cambiamento di uomini al governo, un mutamento di «gabinetto», ecc., che lasci intatto il vecchio ordinamento economico e politico. I menscevichi e gli opportunisti di tutti i paesi, che temono la dittatura come il fuoco e che, per paura, sostituiscono al concetto di dittatura il concetto di «presa del potere», riducono di solito la «presa del potere» a un cambiamento di «gabinetto», all'apparizione al potere di un nuovo ministero composto di uomini del tipo di Scheidemann e Noske, MacDonald e Henderson. Non occorre spiegare che siffatti e analoghi cambiamenti di gabinetto non hanno niente di comune con la dittatura del proletariato, con la conquista del vero potere da parte del vero proletariato. Quando i MacDonald e gli Scheidemann sono al potere, ma rimane intatto il vecchio ordine borghese, i cosiddetti loro governi non possono essere nient'altro che un apparato al servizio della borghesia, nient'altro che una copertura delle piaghe dell'imperialismo, nient'altro che uno strumento nelle mani della borghesia contro il movimento rivoluzionario delle masse oppresse e sfruttate. Questi governi sono necessari al capitale come un paravento, nel momento in cui gli é scomodo, svantaggioso, difficile sfruttare e opprimere le masse senza servirsi di un paravento. Certo, l'apparizione di tali governi é un sintomo che «a casa loro» (cioè a casa dei capitalisti), «sullo Scipca» (1) non regna la calma, ma i governi di tal genere, malgrado ciò, non cessano di essere, pur sotto mentite spoglie, governi del capitale.
(1) «Sullo Scipca regna la calma»: - espressione russa, riferentesi alla guerra russo-turca dei 1877-1878. Durante gli scontri sul Passo dello Scipca i russi subirono gravi perdite, ma lo Stato maggiore dell'esercito zarista diceva nei suoi Comunicati: «Sullo Scipca regna la calma».

Dal governo di Macdonald o di Scheidemann alla conquista del potere da parte del proletariato, la distanza é grande come dalla terra al cielo. La dittatura del proletariato non é un cambiamento di governo, ma un nuovo Stato, con nuovi organi del potere al centro e alla base, é lo Stato del proletariato, sorto sulle rovine del vecchio Stato, dello Stato della borghesia.
La dittatura del proletariato sorge non sulla base dell'ordine borghese, bensì nel corso della sua demolizione, dopo il rovesciamento della borghesia, nel corso dell'espropriazione dei proprietari fondiari e dei capitalisti, nel corso della socializzazione dei mezzi e degli strumenti essenziali della produzione, nel corso della rivoluzione proletaria violenta. La dittatura del proletariato é un potere rivoluzionario che si appoggia sulla violenza contro la borghesia.
Lo Stato é una macchina nelle mani della classe dominante per lo schiacciamento della resistenza dei suoi nemici di classe. Sotto questo aspetto, la dittatura del proletariato non differisce per nulla, in sostanza, dalla dittatura di qualsiasi altra classe, poiché lo Stato proletario é una macchina per lo schiacciamento della borghesia. C'é però una differenza sostanziale. Essa consiste nel fatto che tutti gli Stati di classe esistiti fino ad oggi erano la dittatura di una minoranza sfruttatrice sulla maggioranza sfruttata, mentre la dittatura del proletariato é la dittatura della maggioranza sfruttata sulla minoranza sfruttatrice.
In poche parole: la dittatura del proletariato è il potere del proletariato sulla borghesia, potere che non è limitato dalla legge, poggia sulla violenza e gode la simpatia e l'appoggio delle masse lavoratrici
e Sfruttate (Lenin, «Stato e rivoluzione»).

Di qui scaturiscono due deduzioni fondamentali:
Prima deduzione. La dittatura del proletariato non può essere una democrazia «integrale», una democrazia per tutti, e per i ricchi e per i poveri; la dittatura del proletariato «deve essere uno Stato democratico in modo nuovo, per i proletari e i non possidenti in generale, e dittatoriale in modo nuovo, contro la borghesia ...» (Lenin, «Stato e rivoluzione», Vol. XXI, p. 393 ed. russa). I discorsi di Kautsky e C. sull'eguaglianza universale, sulla democrazia «pura», sulla democrazia «perfetta», ecc. sono una copertura borghese del fatto incontestabile che l'eguaglianza tra sfruttati e sfruttatori é impossibile. La teoria della democrazia «pura» é la teoria dell'aristocrazia operaia addomesticata e mantenuta dai briganti imperialisti. Essa é stata creata per coprire le piaghe del capitalismo, per abbellire l'imperialismo e dargli una forza morale nella lotta contro le masse sfruttate. Non vi sono e non vi possono essere, in regime capitalista, vere «libertà» per gli sfruttati, non fosse altro per il solo fatto che i locali, le tipografie, i depositi di carta, ecc., necessari per l'utilizzazione delle «libertà», sono un privilegio degli sfruttatori.

Non c'é né vi può essere, in regime capitalista, un'effettiva partecipazione delle masse sfruttate alla direzione del paese, non fosse altro per il solo fatto che anche nei regimi più democratici, in regime capitalista, i governi non ricevono il potere dal popolo, ma dai Rothschild e dagli Stinnes, dai Rockefeller e dai Morgan. La democrazia, in regime capitalista, é una democrazia capitalista, é la democrazia della minoranza sfruttatrice, si basa sulla limitazione dei diritti della maggioranza sfruttata ed é diretta contro questa maggioranza. Soltanto sotto la dittatura del proletariato sono possibili vere «libertà» per gli sfruttati e una vera partecipazione dei proletari e dei contadini al governo del paese. La democrazia, sotto la dittatura del proletariato, é una democrazia proletaria, é la democrazia della maggioranza sfruttata, si basa sulla limitazione dei diritti della minoranza sfruttatrice ed é diretta contro questa minoranza.

Seconda deduzione. La dittatura del proletariato non può sorgere come risultato di uno sviluppo pacifico della società borghese e della democrazia borghese; essa può sorgere soltanto come risultato della demolizione della macchina statale borghese, dell'esercito borghese, dell'apparato amministrativo borghese, della polizia borghese.
«La classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini», - scrivono Marx ed Engels nella prefazione al "Manifesto del Partito comunista". La rivoluzione proletaria non deve «... trasferire da una mano ad un'altra la macchina militare e burocratica, come è avvenuto fino ad ora, ma deve demolirla. .. - tale è la condizione previa di ogni rivoluzione veramente popolare sul Continente», - dice Marx nella sua lettera a Kugelmann del 1871.

La frase restrittiva di Marx relativa al Continente ha fornito agli opportunisti e ai menscevichi di tutti i paesi un pretesto per strillare che Marx ammetteva, dunque, la possibilità della trasformazione pacifica della democrazia borghese in democrazia proletaria, almeno per certi paesi che non fanno parte del Continente europeo (Inghilterra, America). Effettivamente Marx ammetteva questa possibilità, e aveva delle ragioni per ammetterla per l'Inghilterra e l'America del 1870-1880, quando non esisteva ancora il capitalismo monopolistico, non esisteva l'imperialismo e non esistevano ancora, in quei paesi, per le condizioni speciali del loro sviluppo, né una burocrazia, né un militarismo sviluppati. Così stavano le cose prima dell'apparizione di un imperialismo sviluppato. Ma in seguito, trenta o quarant'anni-dopo, quando la situazione in questi paesi cambiò radicalmente, quando l'imperialismo si sviluppò e abbracciò tutti i paesi capitalistici senza eccezione, quando il militarismo e la burocrazia apparvero anche in Inghilterra e in America, quando le condizioni particolari che consentivano un'evoluzione pacifica dell'Inghilterra e dell'America furono scomparse, la riserva formulata per questi paesi doveva cadere da sé.

«Attualmente, - scrive Lenin, - nel 1917, nell'epoca della prima grande guerra imperialista, questa riserva di Marx cade: l'Inghilterra e l'America che erano, - in tutto il mondo, - le maggiori e le ultime rappresentanti della "libertà" anglo-sassone per quanto riguarda l'assenza di militarismo e di burocrazia, sono precipitate interamente nel lurido, sanguinoso pantano, comune a tutta Europa, delle istituzioni militari e burocratiche che tutto sottomettono a sé e tutto comprimono. Oggi, in Inghilterra e in America, la condizione previa di ogni rivoluzione veramente popolare" é la demolizione, la distruzione della macchina statale" "pronta" (in questi paesi portata nel 1914-1917 a una perfezione "europea", imperialistica)" (Lenin, «Stato e rivoluzione», Vol. XXI, p. 395 ed russa).

In altri termini, la legge della rivoluzione violenta del proletariato, la legge della demolizione della macchina statale della borghesia come condizione previa di questa rivoluzione, é legge ineluttabile del movimento rivoluzionario dei paesi imperialisti di tutto il mondo.
Certo, in un avvenire lontano, se il proletariato vincerà nei principali paesi capitalistici e se l'attuale accerchiamento capitalistico sarà sostituito da un accerchiamento socialista, una via «pacifica» di sviluppo sarà del tutto possibile per alcuni paesi capitalistici, in cui i capitalisti, di fronte a una situazione internazionale «sfavorevole», giudicheranno opportuno fare essi stessi «volontariamente» delle concessioni serie al proletariato. Ma questa supposizione riguarda solo un futuro lontano ed eventuale. Per il futuro prossimo questa supposizione non ha nessuno, assolutamente nessun fondamento.

Per questo Lenin ha ragione quando dice:
«La rivoluzione proletaria è impossibile senza la distruzione violenta della macchina statale borghese e la sua sostituzione con una nuova» (Lenin, «La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky», Vol. XXIII, p. 342 ed. russa).

3) Il potere dei Soviet, forma statale della dittatura del proletariato. La vittoria della dittatura del proletariato significa lo schiacciamento della borghesia, la demolizione della macchina statale borghese, la sostituzione alla democrazia borghese della democrazia proletaria. Questo é chiaro. Ma quali sono le organizzazioni per mezzo delle quali può essere compiuta quest'opera immensa? Che le vecchie forme di organizzazione del proletariato, sorte sulla base del parlamentarismo borghese, non sono sufficienti per questo lavoro, é cosa fuori dubbio. Quali sono dunque le nuove forme di organizzazione del proletariato, capaci di adempiere la funzione di affossatori della macchina statale borghese, capaci non solo di demolire questa macchina e non solo di sostituire la democrazia borghese con la democrazia proletaria, ma anche di costituire la base del potere statale proletario?
Questa nuova forma di organizzazione del proletariato sono i Soviet.
In che cosa consiste la forza dei Soviet rispetto alle vecchie forme di organizzazione?

Nel fatto che i Soviet sono le più larghe organizzazioni di massa del proletariato, in quanto essi e soltanto essi abbracciano tutti gli operai, senza eccezione.
Nel fatto che i Soviet sono le sole organizzazioni di massa che abbracciano tutti gli oppressi e gli sfruttati, operai e contadini, soldati e marinai, e nelle quali, perciò, la direzione politica della lotta delle masse da parte della loro avanguardia, -da parte del proletariato, si può realizzare più facilmente e nel modo più completo.
Nel fatto che i Soviet sono gli organi più potenti della lotta rivoluzionaria delle masse, dei movimenti politici delle masse, dell'insurrezione delle masse, gli organi capaci di spezzare l'onnipotenza del capitale finanziario e dei suoi satelliti politici.
Nel fatto che i Soviet sono organizzazioni dirette delle masse stesse, cioè le più democratiche e, quindi, quelle che hanno la più grande autorità tra le masse, a cui agevolano al massimo grado la partecipazione all'organizzazione e al governo del nuovo Stato, quelle che sviluppano al massimo grado l'energia rivoluzionaria, l'iniziativa, le facoltà creatrici delle masse nella lotta per la distruzione del vecchio regime, nella lotta per un regime nuovo, proletario.

Il potere sovietico é l'unificazione e l'integrazione dei Soviet locali in una sola organizzazione statale generale, in una organizzazione statale del proletariato come avanguardia delle masse sfruttate e oppresse e come classe dominante, é la loro unificazione nella Repubblica dei Soviet.
L'essenza del potere sovietico consiste nel fatto che le organizzazioni più vaste e più rivoluzionarie proprio di quelle classi che erano oppresse dai capitalisti e dai proprietari fondiari, sono ora «la base permanente e unica di tutto il potere statale, di tutto l'apparato dello Stato » ; che « proprio quelle masse che anche nelle repubbliche borghesi più democratiche», pur essendo uguali davanti alla legge, «di fatto venivano escluse, con mille espedienti e sotterfugi, dalla partecipazione alla vita politica e dal godimento dei diritti e delle libertà democratiche, sono chiamate a partecipare in modo permanente e sicuro e, per di più, in modo decisivo, alla gestione democratica dello Stato» (Lenin, «Tesi e rapporto sulla democrazia borghese e sulla dittatura proletaria», Vol. XXIV, p. 13 ed. russa).

Ecco perché il potere sovietico é una forma nuova di organizzazione statale, diversa in linea di principio della vecchia forma democratica borghese e parlamentare, é un tipo nuovo di Stato, adatto non ai fini dello sfruttamento e dell'oppressione delle masse lavoratrici, ma ai fini della loro completa liberazione da qualsiasi oppressione e sfruttamento, ai fini della dittatura del proletariato,
Lenin ha ragione quando dice che con l'avvento del potere sovietico «l'epoca del parlamentarismo democratico borghese é finita, é incominciato un nuovo capitolo della storia mondiale: l'epoca della dittatura proletaria».

In che cosa consistono i tratti caratteristici del potere sovietico?
Nel fatto che il potere sovietico é, fra tutte le organizzazioni statali possibili finché esisteranno le classi, quella che ha il più spiccato carattere di massa, la più democratica, perché, essendo l'arena dell'alleanza e della collaborazione degli operai e dei contadini sfruttati nella loro lotta contro gli sfruttatori, e appoggiandosi nel suo lavoro su quest'alleanza e su questa collaborazione, esso é, per questo fatto stesso, il potere della maggioranza della popolazione sulla minoranza, lo Stato di questa maggioranza, l'espressione della sua dittatura.
Nel fatto che il potere sovietico é, in una società divisa in classi, la più internazionalista fra tutte le organizzazioni statali perché, distruggendo ogni oppressione nazionale e appoggiandosi sulla collaborazione delle masse lavoratrici delle diverse nazionalità, esso agevola, per questo fatto stesso, l'unificazione di queste masse in un'unica unione statale.
Nel fatto che il potere sovietico, per la sua struttura stessa, agevola la direzione delle masse oppresse e sfruttate da parte dell'avanguardia di queste masse, da parte del proletariato, che é il nucleo più coeso e più cosciente dei Soviet.
«L'esperienza di tutte le rivoluzioni e di tutti i movimenti -delle classi oppresse, l'esperienza del movimento socialista mondiale c'insegna, - dice Lenin, - che soltanto il proletariato é in grado di unificare e condurre al suo seguito gli strati arretrati e dispersi della popolazione lavoratrice e sfruttata» (lb., p. 14). La struttura del potere sovietico facilita la realizzazione degli insegnamenti di quest'esperienza.
Nel fatto che il potere sovietico, riunendo il potere legislativo e il potere esecutivo in una sola organizzazione statale e sostituendo alle circoscrizioni elettorali a base territoriale le unità produttive, le officine e le fabbriche, collega in maniera diretta gli operai e le masse lavoratrici in generale agli apparati amministrativi dello Stato, insegna loro a governare il paese.
Nel fatto che soltanto il potere sovietico é capace di sottrarre l'esercito alla sottomissione al comando borghese e di trasformarlo, da strumento di oppressione del popolo com'esso é in regime borghese, in uno strumento di liberazione del popolo dal giogo della borghesia nazionale e straniera.
Nel fatto che «solo l'organizzazione sovietica dello Stato é in grado di spezzare realmente d'un colpo e di distruggere definitivamente il vecchio apparato, cioè l'apparato amministrativo e giudiziario borghese» (Ibidem).
Nel fatto che solo la forma sovietica di Stato, facendo partecipare in modo continuo e incondizionato le organizzazioni di massa dei lavoratori e degli sfruttati al governo dello Stato, é in grado di preparare quella estinzione dello Stato, che é uno degli elementi essenziali della futura società senza Stato, della società comunista.
La Repubblica dei Soviet é, dunque, la forma politica cercata e finalmente trovata, nel quadro della quale deve essere condotta a termine l'emancipazione economica del proletariato, deve essere ottenuta la vittoria completa del socialismo.
La Comune di Parigi fu l'embrione di questa forma. Il potere sovietico ne é lo sviluppo e il coronamento.
Ecco perché Lenin dice che:
«La Repubblica dei Soviet dei deputati operai, soldati e contadini non é soltanto la forma di un tipo più elevato di istituzioni democratiche, ... ma è anche l'unica' forma capace di assicurare il passaggio al socialismo con le minori sofferenze possibili» (Lenin, «Tesi sull'Assemblea costituente», vol. XXII, p. 131 ed. russa).
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